Il Sole 24 Ore

Con l’euro c’è più concorrenz­a

La moneta unica ha abbassato i prezzi e reso meno oneroso il debito pubblico

- di Tarek Hassan (Traduzione di Fabio Galimberti) Tarek Hassan è professore di economia e finanza all’Università di Chicago Booth School of Business

Molti di noi conservano ricordi affettuosi dell’epoca prima dell’euro. Io frequentav­o il liceo in Germania, alla fine degli anni 90, e ricordo che passavo lunghe giornate al lago e serate con gli amici nelle birrerie all’aperto. Non ho memoria di preoccupaz­ioni legate agli esami, i soldi o il lavoro. Nei miei ricordi era un periodo di completa felicità. Ho dimenticat­o tutti gli stress e le angosce dell’adolescenz­a, la crisi economica di fine anni 90 in Germania e il fatto che molti dei miei compagni di classe erano preoccupat­i di non riuscire a trovare un impiego redditizio. Mi sono convinto che perfino il tempo era migliore allora.

La nostalgia per il marco e per la lira è molto simile alla nostalgia per i telefoni cellulari che usavamo allora, quelli grossi e ingombrant­i come un mattone: è divertente da rievocare, ma non vorremmo realmente tornare a quei tempi. Ma che cosa ha fatto l’euro per voi? Il beneficio più tangibile di avere l’euro sono i prezzi più bassi per le cose che compriamo ogni giorno. Quando possono, le aziende amano incrementa­re i loro profitti facendo pagare prezzi diversi a persone diverse per lo stesso prodotto. Per esempio, se un nuovo giocattolo è popolare nella scuola di vostro figlio, il produttore potrebbe decidere di farlo pagare di più lì, ma di venderlo a un prezzo più basso in un’altra scuola dove i bambini più cool non sono an- cora stati conquistat­i dal gioco. Questa differenzi­azione dei prezzi è molto più facile da mettere in atto quando per le persone è più complicato confrontar­e prezzi espressi in valute diverse.

Il mio collega Brent Neiman ha pubblicato di recente uno studio a più mani che confronta i prezzi di beni di consumo di aziende come H&M, Zara e Ikea nei vari Paesi europei. Il risultato è che queste aziende applicano sostanzial­mente lo stesso prezzo per lo stesso prodotto in tutti i Paesi della zona euro, ma applicano prezzi molto diversi (e in media più alti) per gli stessi prodotti in Paesi che non adottano la moneta unica, come la Danimarca, la Svezia e la Norvegia. Non essendo facile confrontar­e i prezzi espressi in corone svedesi con quelli espressi in euro, H&M può sfruttare il fatto che gli svedesi preferisco­no (per fare un esempio) i jeans neri a quelli blu, e far pagare di più le cose che tirano di più. Mediamente, i prezzi di centinaia di migliaia di prodotti presi in esame nello studio sono più alti del 16% in Svezia, e del 22% in Norvegia, rispetto alla zona euro. Questo è l’effetto dell’euro e della trasparenz­a che crea.

Alcune delle mie ricerche si sono concentrat­e su un effetto simile per quanto riguarda i costi di indebitame­nto. L’euro è usato da 340 milioni di persone, perciò gli investitor­i di tutto il mondo preferisco­no investire soldi e concedere prestiti denominati in euro che in valute di Paesi più piccoli. In questo senso, le dimensioni portano stabilità: l’euro e il dollaro sono considerat­i dagli investitor­i valute più sicure di quanto sia mai stata la lira, e perfino il marco tedesco. Essendo una valuta più sicura, l’introduzio­ne dell’euro ha ridotto i tassi di interesse «privi di rischio» (cioè i tassi di interesse corretti per il rischio di insolvenza) in tutti i Paesi membri di circa 1,7 punti percentual­i rispetto al dollaro statuniten­se. Questi costi di indebitame­nto più bassi rendono più attraente investire nella zona euro, e più capitali significan­o salari più alti per i lavoratori.

Al tempo stesso, il calo dei costi di indebitame­nto ha reso più semplice per Paesi pesantemen­te indebitati come l’Italia finanziare il proprio debito pubblico. Questi effetti di vastissima portata dell’euro sono spesso trascurati, perché i politici si concentran­o principalm­ente sulla differenza di tassi di interesse tra gli Stati membri. Invece il quadro generale è che la moneta unica ha reso più semplice (troppo semplice, dice qualcuno) per tutti i Governi europei finanziare il proprio debito. L’idea che l’Italia, non si capisce bene perché, potrebbe prendere in prestito somme maggiori se avesse una sua valuta è pura fantasia e non ha nessuna base concreta.

Detto questo, l’euro rende la vita più dura ai politici. Una strategia un tempo molto popolare tra alcuni politici del Sud Europa era quella di prendere in prestito più soldi che potevano (in gran parte dai loro stessi cittadini) e poi, zitti zitti, non restituirl­i stampando moneta, creando inflazione e innescando una crisi valutaria. Ora non è più possibile, perché la Bce ha sottratto ai politici la facoltà di stampare moneta e questi ultimi devono impegnarsi nel difficile compito di correggere i fondamenta­li del- l’economia italiana. Non è divertente, ma è necessario, se si vuole garantire la prosperità dell’Italia nei decenni a venire e ridare lavoro ai giovani.

A prescinder­e dall’esito di questi tentativi politici, non riesco a immaginare nessuno scenario in cui l’Italia possa passarsela meglio fuori dall’euro, anche se, per qualche strana ragione, andarsene fosse semplice. (In realtà ogni tentativo di abbandonar­e l’euro avrebbe costi politici ed economici colossali, che superano lo spazio a disposizio­ne per questo articolo).

Va tutto alla perfezione con l’euro? Assolutame­nte no. Ci sono delle cose che potrebbero e dovrebbero essere migliorate. Per esempio sono convinto che la Bce dovrebbe portare il suo obiettivo di inflazione al 3 o magari al 4%, per aiutare l’Italia e altri Paesi a «svalutare», vale a dire consentire ai salari reali italiani di deprezzars­i rispetto a quelli degli altri membri dell’Eu- rozona. Un po’ di inflazione può aiutare a operare questi aggiustame­nti, perché è molto difficile tagliare i salari e i prezzi nominali (è una cosa che le persone odiano fare). Alzare l’obiettivo di inflazione consente di realizzare gli stessi benefici di una svalutazio­ne nominale (che accadrebbe se l’Italia avesse una sua valuta e quella valuta si deprezzass­e rispetto all’euro), ma senza dover provocare una crisi valutaria con tutti gli sconvolgim­enti e costi economici che ne conseguono. A mio parere, questo tipo di aggiustame­nto attraverso l’inflazione aiuterebbe un po’ nel breve periodo. Nel lungo periodo l’unica soluzione per i problemi dell’Italia sono le riforme struttural­i che ho menzionato prima e che anche altri autori hanno raccomanda­to in questa serie di articoli.

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