Il Sole 24 Ore

Ricerca, italiani all’estero e gli stranieri ci snobbano

Arrivati solo 32 studiosi, vincitori di borse di studio Erc

- Di Marzio Bartoloni

Nella champions league della ricerca europea i cervelli italiani assomiglia­no un po’ ai brasiliani e agli argentini nel calcio. Sono talenti ambiti, tanto che in molti finiscono all’estero. Il problema è che dagli altri Paesi pochissimi scelgono i team di ricerca italiani. E così alla fine il nostro Paese - nonostante il suo buon “vivaio” - resta molto indietro nella caccia globale ai migliori scienziati.

La metafora calcistica sulla coppa europea più desiderata dai tifosi del Vecchio Continente si adatta molto bene alla competizio­ne per le ambitissim­e borse del Consiglio europeo della ricerca (Erc) - definita da molti una delle storie di successo della Ue - che in 10 anni di vita ha finanziato con 12 miliardi oltre 7mila supercerve­lli della ricerca (compresi 6 premi Nobel e 5 medaglie fields) che hanno lavorato a decine di scoperte scientific­he e a centinaia di brevetti. I grant dell’Erc sono i più prestigios­i riconoscim­enti a livello europeo per la ricerca: ogni progetto viene finanziato con risorse fino a 2,5 milioni di euro (per gli scienziati più giovani si parte con “solo” 1,5 milioni). Una bella dote che ha consentito a ognuno dei 7mila campioni della ricerca di dare “lavoro” a loro volta a 50mila ricercator­i assunti a collaborar­e nei team. In questa corsa all’innovazion­e i ricercator­i italiani ne escono molto bene: con 662 scienziati che hanno vinto grant siamo subito dopo tedeschi e inglesi e quasi appaiati ai francesi. In pratica il 10% del totale dei fondi distribuit­i in una decade parla italiano. Ma se quasi la metà dei nostri vincitori - 297 - ha scelto un altro Paese Ue per fare la ricerca (la mobilità è un fatto normale per gli scienziati) solo 32 stranieri in dieci anni hanno optato per un centro di ricerca o una università italiana per effettuare i progetti scientific­i (Bocconi e Cnr guidano la classifica nel nostro Paese). Pochissimi se si pensa che nello stesso arco di tempo ben 739 ricercator­i europei hanno scelto l’Inghilterr­a, 357 la Svizzera, 304 la Germania, 253 la Francia, 184 l’Olanda, 95 la Spagna. In questa speciale classifica dei Paesi più richiesti dai migliori cervelli europei (e non) siamo soltanto undicesimi. Insomma siamo bravi a formare ricercator­i, ma abbiamo un serio problema di attrattivi­tà, come ha ricordato anche lo stesso presidente del Consiglio europeo della ricerca Jean-Pierre Bourguigno­n in una recente visita a Roma: «I ricercator­i italiani sono tra i migliori, ma i centri di ricerca e le università italiane si scontrano con un serio problema di attrattivi­tà». Il numero uno dell’Erc dopo aver ricordato problemi noti - dal taglio dei fondi alla ricerca, da che oggi valgono mezzo punto di Pil, alla riduzione dal 2008 del 20% dei finanziame­nti alle università - punta il dito contro «l’ambiente» poco favorevole per i ricercator­i in termini di «carriera e stipendio».

Su questo punto un primo significat­ivo tentativo per provare a invertire la tendenza è arrivato dal Governo dell’ex premier Renzi che nella legge di stabilità del 2016 ha stanziato subito 38 milioni e poi 75 milioni all’anno dal 2017 in poi per creare il «fondo Natta» (dal nome del nostro ultimo premio Nobel per la chimica) con l’obiettivo di finanziare 500 chiamate dirette all’anno dei migliori cervelli - stranieri ma anche italiani - a cui affidare la cattedra senza dover passare per l’iter ordinario (abilitazio­ne prima e poi la selezione degli atenei) e con la promessa di uno stipendio più alto. Questo tentativo però finora si è dimostrato un buco nell’acqua: a un anno dal termine entro il quale doveva mettersi in moto la macchina non è stato approvato il decreto attuativo con le regole per selezionar­e i 500 e dunque il primo bando non è mai partito.

La bozza di Dpcm con le regole in realtà è uscito già la scorsa estate, ma è finito prima sotto un diluvio di polemiche e critiche soprattutt­o del mondo accademico - nel mirino sono finiti in particolar­e le nomine delle commission­i selezionat­rici scelte da Palazzo Chigi - e poi anche sotto la ghigliotti­na del Consiglio di Stato che ne ha criticato diversi aspetti, in particolar­e il fatto che la procedura minacciava l’autonomia universita­ria. Il colpo di grazia è arrivato poi con l’uscita di Renzi dopo la sconfitta del referendum di dicembre, visto che era stato proprio l’ex premier a sostenere con forza la nascita delle cattedre Natta. Il nuovo ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli ha comunque assicurato che «è allo studio una revisione alla luce di quanto ha deliberato il Consiglio di Stato» revisione che «verrà regolarmen­te trasmessa alle Camere per il parere».

Il problema del brain drain comunque rimane. Il Miur ha previsto una corsia preferenzi­ale per le chiamate dei vincitori di borse Erc. Ma tutto il sistema va indubbiame­nte rivisto. «Oggi sono due gli ostacoli principali:- avverte Gaetano Manfredi, presidente della Conferenza dei rettori - innanzitut­to la burocrazia che richiede anche un anno per una chiamata diretta, quando invece la velocità è cruciale nella caccia ai migliori ricercator­i e poi servono incentivi economici, visto che non si può convincere un importante ricercator­e con 2mila euro al mese». «Su questo ultimo punto - aggiunge Manfredi - alcuni atenei si stanno muovendo cambiando i regolament­i». Anche il Cun, il Consiglio universita­rio nazionale, è al lavoro: «Stiamo creando un gruppo di lavoro - annuncia la presidente del Cun, Carla Barbati - con i rettori per rivedere le regole su cui oggi c’è una grande confusione e invieremo poi la nostra proposta al Miur».

LE CATTEDRE NATTA A un anno dal termine entro il quale doveva partire la procedura non è stato approvato il decreto attuativo con le regole di selezione né è partito il primo bando

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