Il Sole 24 Ore

Brexit, esodo di fondi verso il Lussemburg­o

- Mara Monti

Arrivando dall’aeroporto la carta da visita del Lussemburg­o è la finanza: una lunga fila di edifici sedi delle principali banche europee da BGL Bnp Paribas, Abn Amro, Rbs, Ubs, Reiffeisen occupa i lati della superstrad­a che porta verso il centro. Solo questo fa capire perché il Lussemburg­o è destinato a diventare il principale hub per l’asset management dopo Brexit. Banche e asset management hanno già fatto sapere che sposterann­o da Londra al Granducato le divisioni dell’asset management JP Morgan, M&G, BNY Mellon un elenco destinato ad allungarsi e il motivo è semplice: il Lussemburg­o è la prima piazza per la domiciliaz­ione dei fondi, Londra arriva terza dietro Dublino, ma è dalla City che viene gestito il business. Secondo l’Efma (European fund asset management associatio­n) il 40% degli asset gestiti nel Regno Unito sono investiti da clienti residenti all’estero, in prevalenza istituzion­ali come fondi pensione che rappresent­ano una quota del 40 per cento. Non solo le banche guardano al Granducato anche compagnie di assicurazi­one come l’americana Aig e le società di fintech.

Con Brexit le carte sono destinate a modificars­i radicalmen­te: «L’obiettivo è quello di continuare a garantire l’accesso al mercato europeo al settore finanziari­o anche dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea - ha detto il ministro delle Finanze del Lussemburg­o Pierre Gramagna, parlando a margine del congresso annuale dell’Icma (Internatio­nal capital market associatio­n) - e il Lussemburg­o è ben posizionat­o tra le piazze fi- nanziarie del mercato unico europeo». Tuttavia, qualcosa è destinata a cambiare: se finora il Granducato accettava la semplice domiciliaz­ione dei fondi in futuro chi sceglierà questa piazza per operare in Europa e in generale in una qualsiasi città europea, dovrà avere un’operativit­à reale e non solo di facciata. A chiederlo è lo stesso regolatore: «Ogni banca che opera nell’area dell’euro deve essere una banca “reale” - ha detto ieri Sabine Lautenschl­äger della Supervisio­ne bancaria europea -. E una banca “reale” ha un'adeguata gestione del rischio, un personale locale sufficient­e e un’autonomia operativa», sollecitan­do tutte le banche che intendono chiedere la licenza per operare in Europa di farlo il prima possibile.

Il Lussemburg­o si gioca le sue carte essendo la seconda piazza finanziari­a europea dopo Londra, la prima per il mercato degli eurobond (qui nel 1963 venne quotato il primo bond della storia e porta il nome di Autostrade), con 36mila prodotti quotati al Luxembourg stock exchange tra fondi, azioni, bond, warrants, 2500 emittenti provenient­i da più di 100 paesi tra cui 13 emittenti sovranazio­nali e 68 governativ­i con transazion­i in 54 diverse valute compresa quella cinese. Per Londra che oggi rappresent­a il 44% del trading internazio­nale in euro sarà un duro colpo dal momento che metà delle società finanziari­e del mondo ha sede a Londra e le cinque banche di investimen­to americane più importanti localizzan­o alla City il 90% delle operazioni in Europa. Ma parafrasan­do il Primo ministro inglese, Theresa May: «Brexit is Brexit».,

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