Iva, per il cost sharing esenzione condizionata
Con due sentenze depositate ieri, la Corte di giustizia europea si pronuncia sui “margini” di esenzione dall’Iva di cui possono beneficiare determinate attività. Il concetto stesso di esenzione – precisa la Corte – deve essere interpretato restrittivamente, dal momento che esso costituisce una deroga al principio generale secondo cui l’Iva si applica ad ogni cessione di beni/prestazione di servizio effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo. Tuttavia, ciò non significa che le norme unionali disciplinanti le esenzioni debbano essere interpretate in modo tale da privare le stesse dei loro effetti.
Tale principio è stato tradotto dalla Corte nelle due decisioni relative alle cause C274/15 e C-699/15. La prima, nella quale si condanna il Lussemburgo per violazione del diritto unionale, affronta il dibattuto tema del cost sharing, chiarendo che l’articolo 132, par. 1, lettera f), della direttiva Iva esclude la possibilità di estendere l’esenzione alle prestazioni di servizi che non siano direttamente necessarie all’esercizio delle attività esenti svolte dai membri di un’associazione autonoma di persone o per le quali esse non abbiano la qualità di soggetti passivi. La seconda considera come «prestazioni strettamente connesse» alla prestazione principale di insegna- mento le attività di ristorazione e di intrattenimento che gli studenti di un College, nell’ambito della loro formazione e a titolo oneroso, svolgono nei confronti di terzi, a patto che tali servizi siano indispensabili alla loro formazione, non siano destinati a generare entrate supplementari all’istituto, non generando operazioni in diretta concorrenza con imprese commerciali soggette ad Iva. A queste condizioni esse sono esenti da Iva, in quanto accessorie ad una prestazione principale esente articolo 132, par. 1, lettera i), della direttiva Iva.
Cost sharing
La disciplina unionale del cost sharing è tornata ad essere al centro dell’attenzione della Commissione europea in quanto è stata considerata per certi versi ambigua ed applicata dagli Stati membri in maniera difforme. Ad esempio, alcuni di essi hanno imposto ulteriori condizioni per beneficiare dell’esenzione in questione, altri hanno ristretto l’applicazione dell’esenzione soltanto a talune attività.
Nel documento del 6 maggio 2015 n. 856, il Comitato Iva ha indicato cinque presupposti imprescindibili affinché possano essere considerati esenti gli accordi di cost sharing: 1) è necessario che vi sia un’entità “indipendent group” che fornisca servizi a persone che siano membri della stessa; 2) i membri devono esercitare a valle o un’attività esente o un’attivi- tà per la quale non hanno la qualità di soggetti passivi; 3) i servizi forniti dal gruppo devono essere direttamente necessari all’esercizio di tali attività dei membri; 4) per i servizi resi il gruppo si limita a percepire dai membri il solo rimborso delle spese; 5) l’esenzione dall’Iva non deve essere causa di distorsioni della concorrenza.
Alla luce di tali precisazioni, è dunque comprensibile l’orientamento della Corte diretto a rimarcare che l’esenzione è strettamente collegata al fatto che i membri svolgano attività esenti o fuori campo Iva, ciò non implicando che il regime di detassazione si limita alle associazioni i cui membri esercitino esclusivamente tali attività. Infatti, anche i servizi prestati da un’associazione autonoma i cui membri esercitino anche attività imponibili possono beneficiare di detta esenzione, ma solo nei limiti in cui tali servizi sono direttamente necessari alle attività esenti o fuori campo svolte dai membri stessi. Da ultimo, la Corte precisa che quando un membro acquisisce beni e servizi, in nome proprio ma per conto dell’associazione autonoma, il rimborso da parte dell’associazione delle relative spese deve considerarsi comunque un’operazione che rientra nel campo di applicazione dell’Iva.
L’ALTRO LIMITE L’attività di ristorazione degli studenti del college deve essere indipensabile alla formazione e non essere in concorrenza con imprese commerciali