Se cambiano le scelte Bce
La Bce potrebbe resistere al pressing per la rimozione rapida del Qe
Il brusco ribasso del prezzo del petrolio, e delle altre materie prime, nella settimana che si è appena conclusa può complicare le prossime decisioni della Banca centrale europea, ma difficilmente la sposterà dalla rotta che sembra avere individuato per i prossimi mesi.
Il calo delle quotazioni dell’energia può rappresentare un elemento di pressione al ribasso per i prezzi dell’eurozona (così come un apprezzamento dell’euro), ma la Bce ha detto in più occasioni negli ultimi tempi di voler guardare al di là di fattori temporanei e ha sottolineato una crescente attenzione per l’inflazione di fondo, depurata degli elementi più volatili, come appunto il prezzo del petrolio e quello degli alimentari. E del resto, nelle previsioni dei suoi economisti, che verranno riviste in tempo per il consiglio di giugno, un ribasso nei prossimi mesi è già atteso. L’inflazione, che nel mese di aprile, secondo le prime stime, è stata dell’1,9%, dovrebbe oscillare attorno all'1,5% per il resto dell’anno, ha detto giovedì il capo economista della Bce, Peter Praet, prima di riprendere una gentile ascesa verso livelli più vicini al 2% nei due anni successivi. L’inflazione di fondo, all’1,2% in aprile dopo lo 0,7%, quasi un minimo storico, di marzo, dovrebbe a sua volta seguire una traiettoria al rialzo che la porterà in linea con l'inflazione generale, secondo Praet, nel 2019, ma procederà in modo lento. Una tendenza convincente al rialzo non c’è, ha detto l’economista.
Se il ribasso del petrolio contribuirà a rallentare ulteriormente l’ascesa dell’inflazione, questo potrebbe aiutare il presidente della Bce, Mario Draghi, e la maggioranza del consiglio a resistere più facilmente alle sollecitazioni di quei consiglieri che vorrebbero una rimozione in tempi più rapidi dello stimolo monetario. Peraltro, il calo dell’energia ha anche un effetto contrario, quello di aumentare il reddito disponibile per imprese e famiglie e quindi spingere la crescita. È su questo fronte che per ora la Bce sembra avere maggiori certezze, grazie a un’espansione dello 0,5% nel primo trimestre dell’anno e indicazioni dai sondaggi secondo cui anche il secondo trimestre è cominciato bene. I rischi al ribasso indicati finora dalla Bce si stanno insomma riequilibrando, ha ammesso lo stesso Praet.
Questo dovrebbe significare, come ha evidenziato il discorso di Praet giovedì, che alla riunione di giugno il consiglio, che a quel punto avrà a disposizione le nuove previsioni, potrebbe decidere di valutare di nuovo la situazione. E, si presume, modificare intanto il linguaggio della sua comunicazione, per poi spiegare, probabilmente a settembre, cosa intenda fare nel 2018. Gli acquisti di titoli del Qe sono programmati al ritmo attuale di 60 miliardi di euro mensili fino a dicembre, dopo di che è attesa una riduzione graduale (tapering) fino a zero, e successivamente, in tempi che potrebbero essere anche più brevi del previsto, come ha suggerito ieri Praet, un rialzo progressivo dei tassi d'interesse.
Un altro elemento può giocare nelle considerazioni della banca centrale ed è l’andamento del cambio: l’euro viene da quattro settimane consecutive di rialzi e si è attestato stabilmente sopra 1,09 dollari. La vittoria di Emmanuel Macron alle presidenziali francesi di domani potrebbe spazzar via i rischi di una rottura dell’euro creati dalle intenzioni della sua rivale, Marine Le Pen, e quindi imprimere un’ulteriore spinta rialzista all'euro. Nella stessa direzione andrebbe un voto favorevole al cancelliere tedesco Angela Merkel nelle regionali di domani nello SchleswigHolstein. E un euro in rialzo avrebbe a sua volta un effetto moderatore sull’inflazione. La Bce ne terrà conto, anche se non si stanca di ripetere che il cambio non è un obiettivo della politica monetaria e, salvo scossoni, anche questo non dovrebbe essere un elemento decisivo per modificare la rotta dell’istituto di Francoforte.