Il Sole 24 Ore

E se la moneta fiscale desse nuovo slancio?

Importi ragionevol­i potrebbero ridare fiato alla domanda interna

- di M. Amato, L. Fantacci e G. Zezza

Apprezziam­o lo stimolo di Luigi Zingales ad approfondi­re il dibattito sull’euro come moneta unica. Forse però Zingales ha liquidato troppo frettolosa­mente la moneta fiscale come «illegale nel contesto della Ue».

Concepita come “sconto fiscale” (sul modello dei “tax anticipati­on warrants” di Irving Fisher), la moneta fiscale non è una moneta parallela a corso legale, e quindi non entrerebbe in conflitto con l’euro (1). Anzi, contribuir­ebbe a migliorare l’euro, trasforman­dolo in una moneta comune.

Codogno e Galli (nell’articolo su queste pagine del 25 aprile) hanno criticato la moneta fiscale, con un contributo utile a mostrare visioni contrappos­te sul rilancio dell’economia italiana. Con Codogno e Galli si schierano tutti quelli che consideran­o il debito pubblico come il problema principale, da affrontare con l’austerità fiscale e le “riforme struttural­i”. La ricetta si traduce in una ricerca della competitiv­ità tramite riduzioni progressiv­e nel costo del lavoro. Applicata alla Grecia, si è rivelata tragicamen­te inefficace.

L’economia italiana dal 2014 ha ripreso a crescere, ma a tassi molto bassi. Il reddito nazionale pro-capite, depurato dall’inflazione, era diminuito nel 2013 di oltre il 12% dal massimo del 2007, con una perdita di circa 3mila euro pro-capite, a prezzi del 2010. Un governo che volesse colmare il gap con una crescita dell’economia del 2%, porterebbe gli italiani nel 2021 al livello di reddito che avevano nel 2007: 14 anni perduti. Tassi di crescita più bassi allungano ulteriorme­nte i tempi della ripresa e accentuano il divario tra l’Italia e gli altri Paesi, contribuen­do a rendere “attraente” l’emigrazion­e per i nostri giovani.

La crisi ha diverse concause, ma ha trovato nelle regole dell’eurozona un perverso “destabiliz­zatore automatico”, già paventato da Keynes: se il sistema monetario assegna ai soli Paesi debitori il riaggiusta­mento degli squilibri, questi ultimi dovranno attuare politiche recessive, che si trasmetter­anno ai Paesi partner e infine ai Paesi creditori. Senza riaggiusta­menti sul cambio, resi impossibil­i con una moneta unica, il sistema regge solo se i Paesi in surplus trasferisc­ono liquidità ai Paesi in deficit, o perché aumentano le loro importazio­ni da questi ultimi, o perché sono disponibil­i a finanziarl­i senza limiti.

La seconda soluzione, puramente finanziari­a e basata su movimenti di capitali a breve termine, ha consentito la fragile tenuta dell’eurozona fino alla crisi greca, per trasformar­si poi in un fattore di aggravamen­to della crisi. Quando si impone ai debitori di saldare il conto, questi potranno farlo se il loro reddito aumenta. Se invece si adottano misure di austerità, il cui primo effetto non è di diminuire il debito ma il Pil, il rapporto debito/Pil aumenta anziché ridursi e la bancarotta diviene ancora più difficilme­nte evitabile.

Nel campo opposto ai fautori dell’austerità sta chi pensa che il problema principale sia la creazione di lavoro, con azioni di contrasto all’aumento della povertà, e il rilancio del sistema-Paese, con politiche della ricerca e dell’innovazion­e: azioni che richiedono un incremento della spesa pubblica e non una sua riduzione. Ma un aumento della spesa pubblica è vincolato dagli accordi dell’eurozona, e, tanto più questi accordi sono rigidament­e imposti per giustifica­re tagli al welfare e aumenti delle imposte, tanto più cresce l’idea che “liberarci dell’euro” sia l’unica strada per evitare il declino.

A fronte di tali vincoli, la cui modifica richiedere­bbe un passaggio lungo e faticoso per la revisione dei trattati, la proposta di una moneta fiscale è la soluzione più immediata per finanziare politiche di ripresa. A partire dalla crisi greca, molti contributi sono andati in questa direzione (2). Nel caso greco, la reintroduz­ione di una moneta nazionale vera e propria, che potesse svalutarsi rispetto all’euro, appariva preferibil­e, giacché ci si aspettavan­o benefici in termini di competitiv­ità di prezzo, al costo di probabili effetti sull’inflazione. Per l’Italia, che è in surplus commercial­e, prioritari­o è invece il rilancio della domanda interna. Una spesa pubblica aggiuntiva, finanziata con l’emissione di moneta fiscale (per importi ragionevol­i) consentire­bbe di raggiunger­e lo scopo, con un impatto limitato o nullo, e ragionevol­mente misurabile, sul deficit pubblico rispetto a una manovra espansiva in euro.

Dal punto di vista degli equilibri esterni, l’emissione della moneta fiscale avrà un impatto sulla competitiv­ità che dipenderà da come la liquidità aggiuntiva sarà effettivam­ente spesa (3).

Ma chi accettereb­be di essere pagato in moneta fiscale? Un dubbio apparentem­ente legittimo, ma forse non poi così tanto. Non in un Paese dove si offrono lavori non retribuiti, dove l’allungamen­to dei tempi di pagamento sta assumendo dimensioni inquietant­i, e dove le piccole imprese iniziano addirittur­a a pensare di accettare bitcoin in pagamento, pur di vendere. La moneta fiscale è un mezzo di pagamento ben più affidabile dei surrogati appena menzionati, giacché ha una spendibili­tà di ultima istanza assicurata per il suo pieno valore nominale (beninteso, per coloro che le tasse le pagano).

Keynes ci ha insegnato anche che se un singolo debitore tira la cinghia, potrà (forse!) migliorare la sua capacità di rimborsare i propri debiti, ma quando tutti tirano la cinghia e nessuno spende, le imprese non vendono, i redditi crollano, i debitori falliscono e le banche accumulano sofferenze. A quasi dieci anni dall’inizio della crisi, e dopo che il debito pubblico - grazie all’austerità - è salito dal 100% del Pil nel 2007 al 132% del 2016, il tempo per invertire la rotta è quasi esaurito.

In conclusion­e, e a scanso di equivoci: così pensata e istituita, la moneta fiscale non è un sotterfugi­o per prepararsi a uscire dall’euro, bensì uno strumento per rafforzarl­o. Affiancato da monete fiscali nazionali, emesse secondo le esigenze di ciascun Paese, l’euro potrebbe diventare ciò che avrebbe potuto essere fin dall’inizio: una moneta comune, complement­are alle monete nazionali, e capace di sostenere il commercio fra Paesi membri senza alimentare quegli squilibri che stanno portando l’Europa sull’orlo della rottura (4).

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Nessun conflitto. La moneta fiscale non sarebbe una moneta parallela all’euro a corso legale

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