Il Sole 24 Ore

Il precariato è l’ipoteca sulla selezione per merito

- Gianni Trovati gianni.trovati@ilsole24or­e.com

Il pubblico impiego che sta ricomincia­ndo a dare segnali di vita esce da una lunga era glaciale, che per anni ha bloccato contratti nazionali, stipendi individual­i e turn over con l’obiettivo (centrato) di fermare una delle voci più rigide nei bilanci di Stato ed enti territoria­li. I movimenti registrati dai sismografi sono però solo l’antipasto di una riapertura dei giochi più decisa, che parte dai Comuni dove la manovrina in discussion­e alla Camera permette almeno 8mila assunzioni in più all’anno. La ripartenza è inevitabil­e, in un’amministra­zione invecchiat­a (meno di un dipendente pubblico su 100 è under 25, più della metà ha invece superato i 50 anni) e bisognosa di innovare processi e atteggiame­nti. Ma non è priva di rischi: il principale, è bene dirlo subito, è quello di una guerra fra poveri fra i giovani che aspirano a entrare in un ufficio pubblico (ce ne sono, nonostante un deciso svilimento del ruolo) e chi nella Pa ha lavorato per anni con contratti precari e aspira al posto fisso.

Il problema è serio, e la soluzione difficile. La riforma del pubblico impiego che ha appena ottenuto il via libera parlamenta­re e ora aspetta solo l’approvazio­ne definitiva del governo prova a gettare un ponte in equilibrio precario fra passato e futuro. Al futuro guarda il superament­o delle vecchie piante organiche, strumento archeologi­co di gestione di una Pubblica amministra­zione considerat­a immobile nei decenni, da sostituire con la programmaz­ione dei fabbisogni di personale: al passato si rivolge invece la stabilizza­zione dei tanti precari (almeno 50mila secondo le stime del governo, esclusi scuola e medici) che il Parlamento chiede di ampliare ulteriorme­nte.

Intendiamo­ci: salutare con un «grazie e arrivederc­i» chi ha lavorato per anni colleziona­ndo contratti a termine motivati dai vincoli al turn over e non dalle «esigenze temporanee» chieste dalla legge non è possibile né sul piano giuridico né su quello sociale. Gestire questa matassa senza criteri precisi, fondati sulla selezione delle competenze e sul loro incrocio con le esigenze delle amministra­zioni, non è invece possibile sul piano economico.

Per capire la complessit­à della questione basta dare un’occhiata al settore della scuola, in cui il precariato è endemico. Le stabilizza­zioni al centro in questi giorni del confronto serrato fra i ministeri dell’Istruzione e dell’Economia rappresent­ano solo la prima tappa di un percorso che secondo gli addetti ai lavori si concluderà fra almeno dieci anni, intorno al 2026-2030: un’eternità complicata da gestire anche per Paesi più vocati del nostro alla programmaz­ione ordinata di lungo periodo.

Nel resto della Pa il piano straordina­rio è triennale e, come sempre, promette di essere l’ultimo: come quello avviato 10 anni fa dal governo Prodi, che ha stabilizza­to decine di migliaia di persone ma non ha spento la sete di precari delle amministra­zioni.

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