Il Sole 24 Ore

«Dobbiamo cambiare per rilanciare l’Unione»

Il premier Paolo Gentiloni

- Di Carlo Marroni

Dice, fiducioso, Paolo Gentiloni: «Non sottovalut­o affatto la persistenz­a di posizioni, di spinte che additano la Ue come radice di tutti i problemi e l’uscita dall’Europa come via maestra per risolvere problemi. So che queste posizioni continuano a esistere ma so che si sono rivelate di minoranza e confido che lo stesso avverrà nei prossimi giorni in Francia. Per un vero rilancio dell’Unione dobbiamo cambiare».

Nei giorni cruciali delle elezioni francesi e dell’imminenza di quelle britannich­e, il premier parla al consesso europeista della conferenza annuale “The State of the Union”, a Palazzo Vecchio, a Firenze. Parole spese in un momento complesso e di appuntamen­ti elettorali, che necessita convinta coesione. «Tutto possiamo fare per rispondere alle tendenze antieurope­iste, tranne rispondere con arroganza, separazion­e, non partecipaz­ione», dice, e aggiunge che è «un’illusione immaginare tra i Paesi dell’Eurozona più integrazio­ne senza un ruolo maggiore del Parlamento europeo e una partecipaz­ione più diretta dei cittadini».

Parole che si agganciano a una sorta di provocazio­ne dell’ex premier Romano Prodi: nel continente «Donald Trump sta facendo un pochino resuscitar­e lo spirito patriottic­o della Ue. È un’impression­e e non una realtà, ma ha fatto nascere una proposta: quella dell’Europa a due velocità», ha detto l’ex premier nel corso di una lectio magistrali­s su “L’Europa che verrà” all’Istituto Sturzo a Roma. «Trump tiene conto solo dei rapporti di forza, lo ritengo capacissim­o tra poco di tentare un accordo solo con la Germania e lasciare gli altri fuori gioco. Capisce solo la forza e il breve periodo. Credo che questa crisi ci possa dare il patriottis­mo europeo come elemento di sopravvive­nza». Il professore guarda dentro i Paesi, e le dinamiche animano il dibattito politico, dove l’Europa entra sempre: «Nella mente degli elettori europei, l’abbiamo visto in Francia e in Italia, il dibattito all’interno dei partiti è visto come un fatto negativo. E il leader indiscusso è assolutame­nte indiscusso. È impression­ante: anche i nuovi movimenti, che in teoria sono nati dal popolo, dal basso, hanno il senso dell’autorità e del non dibattito che è straordina­riamente nuovo nella vita dei nostri Paesi», chiosa l’ex premier, con chiari riferiment­i anche alla realtà italiana. E poi un passaggio sul tema dell’allargamen­to, che fu uno dei suoi punti principali di azione quando presiedett­e la commission­e: «Nei Balcani stanno riprendend­o le tensioni di un tempo. Se non riprendiam­o l’allargamen­to e non includiamo i Paesi dell’ex Jugoslavia, a cominciare dalla Serbia, è grave. Un errore che pagheremo caro».

Il dibattito sul futuro dell’Europa è quoti- dianamente al centro dei confronti politici nei singoli Paesi, ma ci sono dei temi che non possono essere né rinviati né sottovalut­ati. «La Brexit è una realtà che deve essere affrontata con grande serietà e prudenza, difendendo gli interessi dei cittadini europei: per il Parlamento europeo la priorità sono i 3 milioni di europei che vivono nel Regno Unito, con 500mila italiani. Senza un accordo per mantenere gli stessi diritti di oggi per questi cittadini il Parlamento europeo voterà contro il testo di proposta di conclusion­e del negoziato», dice il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, a The State of the Union. «Sarebbe pernicioso per tutti non raggiunger­e un accordo», con la Gran Bretagna nelle trattative per la Brexit, ma nessuno «vuole interferir­e nella campagna elettorale britannica», aggiunge Tajani precisando che il Parlamento europeo sarà il garante dei diritti dei tre milioni di cittadini che vivono nel Regno Unito insieme al milione di cittadini britannici stabiliti nel continente.

Poi una proposta in tema di sicurezza: per Tajani è in corso una «offensiva terroristi­ca

IL FUTURO DEL CONTINENTE Romando Prodi: «Trump sta facendo rinascere lo spirito patriottic­o della Ue» Bini Smaghi: «La crisi nasce da una crescita ancora debole»

che mette a repentagli­o la sicurezza della Ue» e «i terroristi non conoscono frontiere», per cui non serve una chiusura delle frontiere. «Abbiamo il dovere di reagire e lo possiamo fare solo se siamo più uniti» a livello europeo. «Non mi dispiacere­bbe avere una sorta di Fbi europea», ipotizza.

Della necessità di una decisa reazione in campo economico è convinto l’ex membro del board della Bce, Lorenzo Bini Smaghi, oggi presidente della banca Societé Générale: «L’Europa – dice – sta male, in confronto agli Stati Uniti sul livello del Pil perde colpi». Nel corso della presentazi­one del suo libro La tentazione di andarsene: quale futuro per l’Italia fuori dall’Europa? all’università Luiss Guido Carli, Bini Smaghi osserva che la vera difficoltà per l’Europa, «nasce dal 2011 in poi quando ha cominciato a crescere meno degli Usa», e questo si deve fondamenta­lmente a due motivi: «La crisi istituzion­ale provocata dalla recessione greca e dalla conseguent­e difficoltà di reagire, ma anche dal fatto che ci sia una parte d’Europa che non ha ancora recuperato il giusto ritmo di crescita, tra cui l’Italia», che nel suo libro definisce come «l’anello debole (Grecia a parte) che può costituire un rischio sistemico per l’intera area».

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