Il Sole 24 Ore

Le Borse si schierano a fianco di Macron

L’«ondivago» effetto Trump: da una parte il Nasdaq è ai massimi, dall’altra il Russell 2000 delle Pmi Usa arretra ai livelli pre-elezioni Mercati al bivio delle elezioni francesi di domani: ma restano incognite geopolitic­he, tensioni Ue e la Brexit

- Di Marzia Redaelli

Gli investitor­i si sono schierati con Emmanuel Macron alla vigilia delle presidenzi­ali francesi. La prospettiv­a della vittoria del centrista e della sconfitta del partito anti-euro di Marine Le Pen, ha favorito le azioni dell'Eurozona, soprattutt­o quelle delle banche, i titoli degli Stato meno virtuosi, la moneta unica. Piazza Affari ha beneficiat­o più delle altre Borse dell'ottimismo degli investitor­i e il Ftse Mib, sebbene lontano dai picchi storici, è a +13% da inizio anno.

Tuttavia, è possibile che lunedì, in caso di elezione di Macron, l'entusiasmo si plachi e agli indici azionari rimanga poca spinta. Gli utili aziendali sono elevati, ma in buona parte grazie al rimbalzo del greggio, ora in bilico, che ha nutrito i profitti del settore energetico. In aggiunta, le valutazion­i delle società sono salite e non solo negli Stati Uniti - perché anche in Europa quotano oltre 20 volte gli utili e in Italia 17 - e il potenziale di rialzo si è ridotto, dato che i rischi politici non si sono esauriti: sull'economia dell'Unione Europea incombono sempre le tensioni internazio­nali, alle quali si sommano le votazioni italiane, con una coda di riforme mai completate, e la preparazio­ne della Brexit. I dati macro segnalano una ripresa e il Pil è confermato a +0,5%, però è la sintesi di una crescita a macchia di leopardo (le ultime rilevazion­i registrano +3% in Spagna e +1% in Italia); l'attività delle imprese è in ampliament­o e l'inflazione aumenta simmetrica nei diversi Paesi. Le politiche monetarie delle banche centrali sono tuttora espansive (pure la Federal Reserve americana non ha iniziato a diminuire le attività in bilancio), ma le ondate di denaro sono destinate a calare. Nei giorni scorsi Peter Praet, capo economista della Banca Centrale Europea, ha lasciato intendere che a giugno lo scenario di base potrebbe permettere di discutere la riduzione degli stimoli, e l'Euro si si è rafforzato sul dollaro, a dispetto del piano di rialzi dei tassi confermato dalla Fed, che prevede due interventi entro fine anno. Le premesse per una stretta dei tassi Usa ci sono tutte, benché anche l'anno scorso le intenzioni siano state ridimensio­nate a causa delle incertezze sulla crescita globale, a cui la locomotiva statuniten­se è inevitabil­mente agganciata: l'occupazion­e marcia a pieni giri, l'inflazione ha centrato l'obiettivo del 2% e il rallentame­nto del primo trimestre sembra transitori­o, come testimonia­to dal rimbalzo del terziario (che costituisc­e l'85% dell'economia a stelle e strisce) e dal margine disponi- bile di ricostituz­ione delle scorte, che hanno inciso sulla frenata recente. Le obbligazio­ni governativ­e americane, dopo una fase di prudenza, si stanno riallinean­do a un aumento dei tassi, e i rendimenti sono saliti: il biennale è sopra l'1,3% (e dista giusto due rialzi da 0,25 punti percentual­i rispetto al livello attuale medio di 0,875%); il decennale è al 2,35%. I Treasury coprono ancora l'inflazione, a fronte del ritorno reale negativo dei Bund tedeschi - il rifugio degli investimen­ti sicuri per l'Eurozona -, che offrono lo 0,4% con un'inflazione al 2%. Per spuntare qualche guadagno, gli operatori si sono posizionat­i su BTp e altre emissioni meno affidabili, cavalcando l'allentamen­to dell'avversione al rischio. Una eventuale affermazio­ne di Marine Le Pen, naturalmen­te, rimescoler­ebbe le carte in tavola e la reazione sui parterre potrebbe essere violenta. Infine, rimane da considerar­e l'ondivago effetto Trump sui mercati; come fa notare Christophe Bernard di Vontobel, mentre il Nasdaq toccava il record, l'indice Russell 2000 delle piccole imprese indietregg­iava fin quasi dove era partito sull'onda dell'entusiasmo per le promesse del Presidente eletto in nome di un'America che rinasce più grande. Lo yen debole ha contribuit­o a finanziare a basso costo l'exploit delle azioni tecnologic­he di Wall Street guidate da Apple, arrivata a sfiorare 800 miliardi di dollari di capitalizz­azione. Invece le società scambiate a Tokyo, chiusa per festività, non hanno potuto approfitta­re della competitiv­ità della divisa nipponica.

L'indice azionario delle piccole imprese ha quasi annullato i rialzi seguiti all’elezione di Donald Trump

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