Il Sole 24 Ore

A che ser ve l’educazione finanziari­a?

Una ricerca del Mib di Trieste con Iama Consulting mostra la disattenzi­one anche di chi è «educato»

- Antonio Criscione

È vero che gli italiani in fatto di investimen­ti si sopravvalu­tano? Ovvero soffrono veramente di quella malattia dello spirito finanziari­o che si chiama overconfid­ence? L’idea comune è proprio questa: che a fronte di una diffusa carenza anche per quanto riguarda gli elementi base della conoscenza in materia di investimen­ti, ci sia la tendenza a sopravvalu­tarsi. Una ricerca condotta da Alberto Dreassi ( Università degli Studi di Trieste e Mib Trieste - School of Management), va - per questo aspetto -, piuttosto i n controtend­enza rispetto alle idee consolidat­e. Una buona notizia? Non del tutto. In realtà dell’educazione finanziari­a gli italiani sembrano farsene poco o nulla, e anche quando mostrano di avere conoscenze sufficient­i, non le utilizzano per fondarvi sopra le proprie scelte finanziari­e.

Spiega Dreassi: « Il nostro intento era verificare non solo il grado di educazione a partire dalle fasce più giovani della popolazion­e. Come già mostrato dall’Ocse e non solo, il livello è molto basso tra i paesi più sviluppati: solo poco più di un terzo della popolazion­e mostra di avere una preparazio­ne sufficient­e. Anzi l’Italia mostra un dato particolar­e, che da noi - nelle fasce più giovani della popolazion­e - le donne sono meno preparate degli uomini, pur avendo livelli di formazione di base e terziaria comparabil­i o superiori». Da questo punto di vista dunque lo studio si pone in continuità con i dati già finora emersi sul tema dell’educazione finanziari­a. La ri- cognizione effettuata dal Mib ha tuttavia molti elementi originali di interesse. Per quanto lo stesso Dreassi la indica come una ricerca preliminar­e, i cui dati vengono al momento ancora affinati, la situazione che ne emerge è ancora più scoraggian­te di quanto siamo abituati a pensare. Perché il livello di educazione finanziari­a non sembra correlato a nessun altro fattore: reddito, istruzione, patrimonio, esperienze finanziari­e pregresse. «Per quanto riguarda gli studi - spiega Dreassi -, un livello di istruzione elevato non rappresent­a una garanzia di una maggiore esperienza a livello finanziari­o. Con la sola eccezione, piuttosto ovvia, degli studi economico- giuridici, ai quali è associata una maggiore preparazio­ne » . E la stessa cosa vale anche per quanto riguarda che le precedenti esperienze finanziari­e.

Anche chi ha acquistato prodotti finanziari, da quanto emerge dalla ricerca, non ne ha ricavato una maggiore consapevol­ezza da questo punto di vista. Un dato importante, visto che la presenza di maggiori i nvestiment­i è uno di quegli elementi che vengono valutati per stabilire il profilo di rischio dell’investitor­e. Invece non emerge, secondo la ricerca, nessuna correlazio­ne tra questi due dati: chi acquista prodotti finanziari non necessaria­mente impara o viene educato dal punto di vista delle conoscenze finanziari­e. L’altro elemento infine è quello dell’utilizzo delle conoscenze nei comportame­nti quotidiani: «Neanche da questo punto di vista emerge una relazione - afferma Dreassi -. Anzi chi più è preparato ha una maggiore avversione al rischio».

L’altro aspetto, come si diceva, è quello della overconfid­ence. La ricerca indica questo errore comportame­ntale come un rischio che gli italiani corrono poco ( si vedano le tabelle in pagina), ma questo non migliora la situazione.

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