I 70 ANNI DEL «PICCOLO» TEATRO
massimo bucciantini sergio escobar giulio giorello
Guardare e vedere, ricordo e memoria. Lo “sguardo” del teatro, che unisce palcoscenico e pubblico, ma anche artista e testo, cerca, in una continua, umanissima, tensione, di arrivare a “vedere”, a conoscere, a “cambiare lo sguardo” sulla realtà che sfugge alla cronaca, «faccio il teatro per cambiare il mondo, anche se so che solo col teatro non lo cambierò mai», «il sogno che inseguo da una vita... presentare uno spettacolo infinito... che possa essere colto da ogni singolo spettatore per frammenti». Strehler e Ronconi, apparentemente così lontani, così presenti nella vita del Piccolo, sono mossi e trascinano il pubblico nella stessa irrinunciabile “ricerca”. E lo spettatore? Certo «il teatro resta il luogo dove una comunità ascolta una parola da accettare o da respingere» diceva Paolo Grassi ma è anche il luogo di “ciascun individuo che guarda”, che si specchia nello sguardo degli altri. Nello “stare al gioco” conosce sé, il mondo, anche smarrendosi, talvolta, nell'oblio del “qui e ora”, dell'accadere del teatro, quando il sipario si è richiuso. E a rimanere indelebili sono frammenti di vita. Dimenticando? Anche. Che relazione esiste tra ricordo e memoria? Ricordare è irrinunciabile atto personale, memoria è il personale che diviene cultura, storia, condivisione in continuo divenire, cittadinanza. «Sarai ciò che avrai dimenticato» mi disse Ludovico Geymonat, il Maestro che ha accomunato Giulio Giorello e me. Memoria e futuro senza l'uso dell' “imperfetto”, ma solo con due forme del futuro. “Sarai” perché le radici che ti legano agli altri ti consentiranno di camminare nel presente, nel progetto, di vivere senza temere il futuro. La memoria è “da progettare”, guardando dentro di sé, di noi, non per falsificarla, ma per condividerla, per tramandarla. Raccontare la memoria del Piccolo ha dunque la responsabilità di un progetto. Come “restituire” l'arco di tempo, di spazio, in cui artisti, pubblico, hanno vissuto il “qui e ora” del teatro che è diventato il “sempre e ovunque” della memoria? Quando avviene che “io ricordo” divenga una personalissima nostalgia, quella che si vorrebbe condividere solo con i compagni di viaggio che sentiamo più vicini, quelli che “possono capirci”, artisti o pubblico che siano? E poi, chi non possiede questi ricordi, per ragioni anagrafiche o per scelte di vita, come può non essere escluso dalla memoria che ci accomuna come cittadini? Credo, paradossalmente, che proprio la umanissima “parzialità” dello sguardo in cui hanno vissuto, vivono le emozioni di uno spettatore possa far rivivere, per chi “c'era”, e vivere, per chi “quella sera non c'era”, la vera memoria comune, ciò che resta, ciò che siamo, che potremo essere.
Abbiamo rinunciato a “descrivere” gli oltre 370 spettacoli prodotti, ad oggi, dal Teatro. Questa “operazione” sarebbe stata tanto impossibile quanto sbagliata. Abbiamo scelto di affidarci allo “sguardo”, ai “frammenti” teatrali indelebili di uno spettatore che unisce ricerca scientifica e stupore appassionato per il teatro: Giulio Giorello. Gli abbiamo chiesto di farci rivivere, attraverso più di cento immagini, gli spettacoli che hanno segnato la sua vita, le emozioni della “ricerca della bellezza”, forma della conoscenza. Non abbiamo voluto, né potuto, raccontarci, ma ci siamo affidati allo sguardo personalissimo di uno spettatore che si fa interprete di memoria condivisa. Proprio come accade ogni sera a teatro, quando l'individuo non si perde nella folla solitaria, non “si riconosce”, ma “si conosce” negli altri. Lo abbiamo fatto sovvertendo l'ordine, seguendo non quello cronologico ma quello emotivo, scegliendo quattordici parole attorno alle quali si addensano frammenti di emozioni, di conoscenza. Di domande. Non di insegnamenti, che non sono compito del teatro. La splendida forza delle immagini, che “rubano” l'istante che non esiste più, “che avremo dimenticato”, ci restituisce, magicamente, la voglia di condividere la “ricerca della bellezza” dello spettacolo infinito, della conoscenza dell'inconoscibile.
Questo libro è anche un percorso nell'anima della città, di chi la vive da spettatore, da cittadino. Una città che, con Calvino, vorremmo «fatta di frammenti mescolati col resto, di istanti separati da intervalli, di segnali che uno manda e non sa chi li raccoglie». Una città generosa, come lo è il gioco del teatro.