La Bce ha alzato il velo Non bisogna stare fermi
Tra part-time e manodopera potenziale non utilizzata, nell’area euro si sale al 18%
Ormai è chiaro, la Bce ha alzato il velo sulla questione salariale dell’Eurozona. Ma la lingua che parlano gli economisti di Francoforte non è univoca se ad ascoltare è, ad esempio, un italiano o un tedesco.
Quando la Bce segnala che «la capacità inutilizzata della forza lavoro europea è al 18%», quindi a un tasso doppio rispetto a quello ufficiale della disoccupazione, poiché non considera la sottoccupazione, le forme di precariato e gli scoraggiati, punta l’attenzione sull’urgenza di creare un lavoro di qualità, cui corrisponda un salario più in linea con i fondamentali dell’economia. Una busta paga utile a creare, soprattutto, la spinta alla domanda interna, a sua volta carburante per quell’inflazione sana cui guarda la Bce per iniziare il tapering e cominciare a ridurre la politica di generosa immissione di liquidità nell’Eurozona.
Udite a Berlino, quelle parole significano un ripensamento dei mini-job, ormai arrivati a quasi 7 milioni, con una retribuzione corrispondente di 450500 euro al mese, esentasse e abbinati a ulteriori sgravi nei casi di maggiore indigenza o disagio sociale. Passa anche da qui la straordinaria performance del mercato del lavoro tedesco con una disoccupazione intorno al 4%. In un Paese in cui, tra l’altro, il salario minimo è di 8,5 euro l’ora (in Francia è di 9,53 euro e in Gran Bretagna di 7,43). Ma in un Paese che ha un surplus commerciale da anni fuori dai parametri voluti dall’Europa e deve dare impulso alla domanda interna la scorciatoia dei mini job ormai mostra la corda.
Ascoltate in Italia, le stesse analisi dicono che prima deve essere ancora ridotta la disoccupazione, perché all’11,7%, e che il problema salariale va affrontato nell’ambito di una revisione delle politiche contrattuali improntate alla redistribuzione della produttività e a fianco di azioni efficaci di politiche attive del lavoro per creare l’incontro ottimale tra domanda e offerta. Che non è sempre riconducibile a un contratto a tempo indeterminato: spesso sono gli spezzoni del lavoro discontinuo a fare la differenza. Il caso dei voucher lascia sul campo forme di abuso, ma era una buona idea. L’Italia deve ancora risolvere il tema dell’occupazione e rilanciare in grande stile una nuova questione salariale potrebbe sembrare un “lusso”.
pLa disoccupazione ufficiale, scesa al 9,5%, più rapidamente del previsto, grazie alla recente ripresa dell’economia, non fotografa accuratamente la capacità inutilizzata sul mercato del lavoro dell’Eurozona, che potrebbe essere fino a quasi il doppio. Anche per questo, non c’è stata l’attesa risalita dei salari, sulla quale la Banca centrale europea conta per raggiungere il proprio obiettivo d’inflazione di avvicinarsi al 2 per cento. Lo rivela uno studio della stessa Bce, che sarà pubblicato oggi insieme al Bollettino economico. Un altro studio nota che la disoccupazione giovanile, che era aumentata più di quella totale nel corso della crisi, è ora scesa più velocemente, ma resta comunque più alta dei livelli precrisi. La situazione è particolarmente grave in alcuni Paesi del Sud Europa, fra cui l’Italia.
Gli economisti della Bce notano che la ripresa dell’Eurozona ha creato, a partire dalla metà del 2013, circa 5 milioni di posti di lavoro e la disoccupazione è scesa più rapidamente del previsto. Dietro alle cifre della disoccupazione ufficiale, tuttavia, ce ne sono altre che rivelano un altro 3,5% della popolazione in età da lavoro al momento «inattivo»: si tratta soprattutto dei lavoratori cosiddetti «scoraggiati», che non stanno attivamente cercando lavoro anche se sono disponibili. La maggior parte non cerca lavoro perché ritiene che non ce ne sia. C’è poi un altro 3% attualmente sottooccupato, che lavora meno ore di quante vorrebbe.
Il lavoro part-time è cresciuto in quasi tutti i Paesi dell’Eurozona da oltre un decennio, in parte per l’aumento dell’occupazione nei servizi e in parte per la maggior partecipazione delle donne ala forza lavoro. I sotto-occupati nell’Eurozona sono attualmente circa 7 milioni di persone, un aumento di un milione dall’inizio della crisi, con un calo molto modesto negli ultimi due anni nonostante la crescita dell’occupazione complessiva. La combinazione delle stime dei disoccupati e dei sotto-occupati con le misure più ampie della disoccupazione, che peraltro presentano alcuni problemi di misurazione, ammette la Bce, suggerisce che la capacità inutilizzata attualmente riguarda il 18% della forza lavoro dell’Eurozona. Ci sono inoltre differenze fra i Paesi per quanto riguarda la risposta alla crisi di questa platea più ampia di ma- nodopera sottoutilizzata. In Francia e in Italia, queste misure più ampie hanno continuato ad aumentare anche dopo la ripresa dell’economia.
La disoccupazione giovanile, nel gruppo fra i 15 e i 24 anni, è un problema particolarmente grave nell’area euro: salita fino al 24% nel 2013, restava attorno al 21% nel 2016, 6 punti percentuali in più di prima della crisi. È particolarmente alta in Grecia, Italia e Spagna. Il rapporto con la disoccupazione complessiva è rimasto quasi invariato rispetto ai livelli pre-crisi, dopo aver accusato un calo più pesante, anzi circa il doppio, nel corso della recessione e aver recuperato più rapidamente con la ripresa, mostrando come la disoccupazione giovanile è più sensibile all’andamento del ciclo economico. I giovani tendono a restare disoccupati per meno tempo rispetto alla forza lavoro in generale, ma questo non è vero nel caso dell’Italia dove la durata della disoccupazione dei due gruppi è più o meno uguale.
Lo studio della Bce indica una serie di misure per affrontare il problema della disoccupazione giovanile, che ha un alto costo per gli interessati e per la società: il miglioramento della qualità dell’istruzione e della sua rilevanza per i mercato del lavoro, compreso il sistema dell’apprendistato; il buon funzionamento della fissazione dei salari, compreso quella del salario minimo; un aumento del ruolo del collocamento pubblico e politiche attive del mercato del lavoro per favorire la transizione e aumentare l’occupabilità dei disoccupati; l’aumento della flessibilità dell’orario per facilitare la combinazione di lavoro e istruzione e la transizione dalla scuola all’entrata nel mercato del lavoro.
LE DIFFERENZE TRA PAESI In Italia e Francia questa platea più ampia di lavoratori sottoutilizzati è aumentata anche dopo la ripresa dell’economia