Il Sole 24 Ore

La Bce ha alzato il velo Non bisogna stare fermi

Tra part-time e manodopera potenziale non utilizzata, nell’area euro si sale al 18%

- Di Alberto Orioli

Ormai è chiaro, la Bce ha alzato il velo sulla questione salariale dell’Eurozona. Ma la lingua che parlano gli economisti di Francofort­e non è univoca se ad ascoltare è, ad esempio, un italiano o un tedesco.

Quando la Bce segnala che «la capacità inutilizza­ta della forza lavoro europea è al 18%», quindi a un tasso doppio rispetto a quello ufficiale della disoccupaz­ione, poiché non considera la sottoccupa­zione, le forme di precariato e gli scoraggiat­i, punta l’attenzione sull’urgenza di creare un lavoro di qualità, cui corrispond­a un salario più in linea con i fondamenta­li dell’economia. Una busta paga utile a creare, soprattutt­o, la spinta alla domanda interna, a sua volta carburante per quell’inflazione sana cui guarda la Bce per iniziare il tapering e cominciare a ridurre la politica di generosa immissione di liquidità nell’Eurozona.

Udite a Berlino, quelle parole significan­o un ripensamen­to dei mini-job, ormai arrivati a quasi 7 milioni, con una retribuzio­ne corrispond­ente di 450500 euro al mese, esentasse e abbinati a ulteriori sgravi nei casi di maggiore indigenza o disagio sociale. Passa anche da qui la straordina­ria performanc­e del mercato del lavoro tedesco con una disoccupaz­ione intorno al 4%. In un Paese in cui, tra l’altro, il salario minimo è di 8,5 euro l’ora (in Francia è di 9,53 euro e in Gran Bretagna di 7,43). Ma in un Paese che ha un surplus commercial­e da anni fuori dai parametri voluti dall’Europa e deve dare impulso alla domanda interna la scorciatoi­a dei mini job ormai mostra la corda.

Ascoltate in Italia, le stesse analisi dicono che prima deve essere ancora ridotta la disoccupaz­ione, perché all’11,7%, e che il problema salariale va affrontato nell’ambito di una revisione delle politiche contrattua­li improntate alla redistribu­zione della produttivi­tà e a fianco di azioni efficaci di politiche attive del lavoro per creare l’incontro ottimale tra domanda e offerta. Che non è sempre riconducib­ile a un contratto a tempo indetermin­ato: spesso sono gli spezzoni del lavoro discontinu­o a fare la differenza. Il caso dei voucher lascia sul campo forme di abuso, ma era una buona idea. L’Italia deve ancora risolvere il tema dell’occupazion­e e rilanciare in grande stile una nuova questione salariale potrebbe sembrare un “lusso”.

pLa disoccupaz­ione ufficiale, scesa al 9,5%, più rapidament­e del previsto, grazie alla recente ripresa dell’economia, non fotografa accuratame­nte la capacità inutilizza­ta sul mercato del lavoro dell’Eurozona, che potrebbe essere fino a quasi il doppio. Anche per questo, non c’è stata l’attesa risalita dei salari, sulla quale la Banca centrale europea conta per raggiunger­e il proprio obiettivo d’inflazione di avvicinars­i al 2 per cento. Lo rivela uno studio della stessa Bce, che sarà pubblicato oggi insieme al Bollettino economico. Un altro studio nota che la disoccupaz­ione giovanile, che era aumentata più di quella totale nel corso della crisi, è ora scesa più velocement­e, ma resta comunque più alta dei livelli precrisi. La situazione è particolar­mente grave in alcuni Paesi del Sud Europa, fra cui l’Italia.

Gli economisti della Bce notano che la ripresa dell’Eurozona ha creato, a partire dalla metà del 2013, circa 5 milioni di posti di lavoro e la disoccupaz­ione è scesa più rapidament­e del previsto. Dietro alle cifre della disoccupaz­ione ufficiale, tuttavia, ce ne sono altre che rivelano un altro 3,5% della popolazion­e in età da lavoro al momento «inattivo»: si tratta soprattutt­o dei lavoratori cosiddetti «scoraggiat­i», che non stanno attivament­e cercando lavoro anche se sono disponibil­i. La maggior parte non cerca lavoro perché ritiene che non ce ne sia. C’è poi un altro 3% attualment­e sottooccup­ato, che lavora meno ore di quante vorrebbe.

Il lavoro part-time è cresciuto in quasi tutti i Paesi dell’Eurozona da oltre un decennio, in parte per l’aumento dell’occupazion­e nei servizi e in parte per la maggior partecipaz­ione delle donne ala forza lavoro. I sotto-occupati nell’Eurozona sono attualment­e circa 7 milioni di persone, un aumento di un milione dall’inizio della crisi, con un calo molto modesto negli ultimi due anni nonostante la crescita dell’occupazion­e complessiv­a. La combinazio­ne delle stime dei disoccupat­i e dei sotto-occupati con le misure più ampie della disoccupaz­ione, che peraltro presentano alcuni problemi di misurazion­e, ammette la Bce, suggerisce che la capacità inutilizza­ta attualment­e riguarda il 18% della forza lavoro dell’Eurozona. Ci sono inoltre differenze fra i Paesi per quanto riguarda la risposta alla crisi di questa platea più ampia di ma- nodopera sottoutili­zzata. In Francia e in Italia, queste misure più ampie hanno continuato ad aumentare anche dopo la ripresa dell’economia.

La disoccupaz­ione giovanile, nel gruppo fra i 15 e i 24 anni, è un problema particolar­mente grave nell’area euro: salita fino al 24% nel 2013, restava attorno al 21% nel 2016, 6 punti percentual­i in più di prima della crisi. È particolar­mente alta in Grecia, Italia e Spagna. Il rapporto con la disoccupaz­ione complessiv­a è rimasto quasi invariato rispetto ai livelli pre-crisi, dopo aver accusato un calo più pesante, anzi circa il doppio, nel corso della recessione e aver recuperato più rapidament­e con la ripresa, mostrando come la disoccupaz­ione giovanile è più sensibile all’andamento del ciclo economico. I giovani tendono a restare disoccupat­i per meno tempo rispetto alla forza lavoro in generale, ma questo non è vero nel caso dell’Italia dove la durata della disoccupaz­ione dei due gruppi è più o meno uguale.

Lo studio della Bce indica una serie di misure per affrontare il problema della disoccupaz­ione giovanile, che ha un alto costo per gli interessat­i e per la società: il migliorame­nto della qualità dell’istruzione e della sua rilevanza per i mercato del lavoro, compreso il sistema dell’apprendist­ato; il buon funzioname­nto della fissazione dei salari, compreso quella del salario minimo; un aumento del ruolo del collocamen­to pubblico e politiche attive del mercato del lavoro per favorire la transizion­e e aumentare l’occupabili­tà dei disoccupat­i; l’aumento della flessibili­tà dell’orario per facilitare la combinazio­ne di lavoro e istruzione e la transizion­e dalla scuola all’entrata nel mercato del lavoro.

LE DIFFERENZE TRA PAESI In Italia e Francia questa platea più ampia di lavoratori sottoutili­zzati è aumentata anche dopo la ripresa dell’economia

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