La disoccupazione europea è il doppio delle stime ufficiali
Draghi in Olanda: «L’euro è irrevocabile, tutto il resto ipotesi senza fondamento»
pL’eccesso di forza lavoro nell’area euro è più alto dei dati ufficiali: lo scrive la Bce in un rapporto che stima le sovraccapacità sul mercato del lavoro al 18% contro un tasso di disoccupazione al 9,5% e sottolinea la bassa crescita dei salari. Parlando all’Aja, il presidente della Bce Draghi ha ribadito che l’euro è irrevocabile. E alla domanda su una possibile uscita dell’Italia ha tagliato corto: «Non intendo speculare su ipotesi che non hanno la minima base».
Amarzo il tasso di disoccupazione risultava inferiore al 4 per cento (3,9). La Germania, ormai da anni, vive una piena occupazione in cui l’unico affanno sembra essere come attirare dall’estero lavoratori specializzati in vista del calo demografico che investirà il paese con un’emorragia di forza lavoro già sensibile a partire dal 2020: entro il 2035 dai cinquanta milioni attuali il numero potrebbe scendere a circa 40.
Non è sempre stato così. Nel 2005 la percentuale di disoccupati veleggiava sopra il 12% e dopo la riunificazione, all’inizio degli anni Novanta, nei Länder dell’Est raggiungeva il 20 per cento. Le riforme Hartz del mercato del lavoro, sulle quali il governo di Grande Coalizione guidato da Angela Merkel ha fatto una parziale retromarcia, hanno contribuito fortemente a migliorare la situazione, insieme alla crescita economica. Hanno però creato un esercito di sottoccupati, con i mini jobs, che solo di recente si è cercato di contrastare introducendo il salario minimo.
Il successo nella riduzione dei disoccuapti è arrivato grazie a un mix di interventi che ha il suo cuore nella distribuzione delle risorse e nell’unificazione dei servizi sotto l’ombrello dell’agenzia federale del lavoro. Senza dimenticare l’efficacia del tradizionale sistema di formazione duale che avvia i giovani alle professioni con l’alternanza scuola-lavoro.
I tedeschi rispetto ad altri Paesi europei, Italia in primo luogo, stanziano più denaro per le politiche attive del lavoro, dai servizi per l’impiego alle misure di ricollocamento, riqualificazione, orientamento e formazione. Meno spesa, invece, viene destinata alle politiche passive ovvero ammortizzatori e sussidi ai disoccupati. La Germania ha speso complessivamente l’1,5% del Pil nel 2015 per le politiche del lavoro (dati Eurostat). Francia e Italia, che si confrontano con tassi di disoccupazione ben superiori, hanno messo sul tavolo rispettivamente il 2,9 e l’1,7 per cento. Berlino, tuttavia, ha suddiviso quasi a metà la spesa per politiche attive e passive (0,634% e 0,882%) mentre in Italia, sempre secondo i dati Eurostat, sussidi e ammortizzatori, che includono le erogazioni per pensioni anticipate, assorbono gran parte della spesa (1,299% del Pil su un totale di 1,764%) e alla parte “attiva” va lo 0,465 per cento . Anche in Francia i due terzi dello sforzo finanziario pubblico a favore dell’occupazione si concentra sul sostegno al reddito dei senza lavoro.
LA RICETTA Il tasso di senza lavoro è sceso al 3,9% grazie a investimenti elevati sulle politiche attive e il reinserimento
Un ruolo importante, nel sistema tedesco, lo gioca la “governance” delle agenzie: la Bundes Agentur für Arbeit (BA) gestisce sia gli interventi attivi che quelli passivi e i servizi pubblici per l’impiego hanno un tasso di utilizzo superiore all’80 per cento.
Un referente unico, l’agenzia, prende in carico il disoccupato e provvede sia all’erogazione dei sussidi che al reinserimento, assegnandogli un operatore fisso. La formazione in Germania avviene attraverso i voucher (Bildungsgutschein) che possono essere spesi presso gli istituti autorizzati e non sono un diritto ma dipendono da come l’agenzia valuta il progetto di riqualificazione del lavoratore.
Infine, i centri per l’impiego tedeschi non hanno la funzione primaria del placement, che avviene per lo più attraverso le agenzie di personal service, enti privati convenzionati in seguito a gare pubbliche.