Per l’assegno di divorzio il tenore di vita non conta più
Il giudice valuta la sussistenza del dir itto al mantenimento e poi la quantificazione - La cifra ha natura assistenziale Per la misura dell’assegno entrano in gioco l’indipendenza o l’autosufficienza economica
Il tenore di vita durante il matrimonio non vale più come parametro per quantificare l’assegno di divorzio. In considerazione della natura assistenziale dell’assegno, il giudice dovrà ora seguire i criteri dell’indipendenza o dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede.
La Corte di cassazione, con la sentenza 11504 (che riguarda un ex ministro e un’imprenditrice), archivia un principio rimasto in voga per 27 anni considerandolo non più attuale e manda in soffitta anche l’idea del matrimonio come “rendita di posizione” da far valere in eterno. Un cambio di rotta che i giudici fanno senza chiamare in causa le Sezioni unite, proprio in considerazione delle mutate condizioni socio-culturali che rendono ormai superato il criterio avallato nel 1990 (Sezioni unite 11490)ma applicato dalla Cassazione poco dopo l’introduzione del divorzio. Il principio dettato allora, basato sul tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio o legittimamente fondato sulle aspettative maturate nel corso delle nozze e fissate al momento del divorzio, era il frutto di un compromesso. Da una parte c’era l’esigenza di superare la concezione patrimonia- listica del matrimonio, inteso come sistemazione definitiva, perché il divorzio era stato assorbito nel costume sociale, dall’altra bisognava però fare i conti con una società nella quale era presente un modello di matrimonio più tradizionale. Da qui «la preferenza accordata a un indirizzo interpretativo che meno traumaticamente rompesse con la passata tradizione». Esigenze molto attenuate nell’attuale periodo storico in cui il matrimonio, decisamente “dissolubile”, è un atto di libertà e di autoresponsabilità. Tanto che, in coerenza con questa visione, la Corte ha affermato che il diritto al mantenimento viene definitivamente meno quando si crea una nuova famiglia di fatto, a prescindere dalla durata del nuovo rapporto (sentenze 6855/2015 e 2466/2016).
Oggi la Corte nega che si configuri un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale. «L’interesse tutelato con l’attribuzione dell’assegno divorzile – scrive la Corte – non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento dell’indipendenza economica, in tal senso dovendosi intendere la funzione – esclusivamente – assistenziale dell’assegno divorzile». I giudici avvertono che un’interpretazione delle norme sull’assegno divorzile che rinvii a tempo indeterminato il momento della “rescissione” degli effetti patrimoniali può diventare un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia, violando, questa volta sì, uno dei diritti fondamentali dell’individuo riconosciuto dalla Cedu. I giudici ricordano che il diritto al mantenimento a “oltranza” è escluso anche nei confronti dei figli, malgrado l’esistenza di un vincolo che, contrariamente a quello del matrimonio, dura tutta la vita. La Cassazione indica la via al giudice che ora dovrà dare una risposta all’ex che chiede l’assegno, distinguendo due fasi: una basata sul principio dell’«autoresponsabilità economica» in cui si decide se esiste un diritto al mantenimento, e l’altra fondata sul principio della «solidarietà economica» nella quale, in caso affermativo, questo va quantificato. Nella prima il giudice valuterà la mancanza di mezzi adeguati e l’impossibilità di procurarseli basandosi su determinati indici: dalla presenza di altri redditi alla capacità lavorativa. Nella seconda peseranno il contributo di ciascuno alla conduzione familiare e al patrimonio, il reddito di entrambi e la durata del matrimonio.