Il Sole 24 Ore

Per l’assegno di divorzio il tenore di vita non conta più

Il giudice valuta la sussistenz­a del dir itto al mantenimen­to e poi la quantifica­zione - La cifra ha natura assistenzi­ale Per la misura dell’assegno entrano in gioco l’indipenden­za o l’autosuffic­ienza economica

- Patrizia Maciocchi

Il tenore di vita durante il matrimonio non vale più come parametro per quantifica­re l’assegno di divorzio. In consideraz­ione della natura assistenzi­ale dell’assegno, il giudice dovrà ora seguire i criteri dell’indipenden­za o dell’autosuffic­ienza economica dell’ex coniuge che lo richiede.

La Corte di cassazione, con la sentenza 11504 (che riguarda un ex ministro e un’imprenditr­ice), archivia un principio rimasto in voga per 27 anni consideran­dolo non più attuale e manda in soffitta anche l’idea del matrimonio come “rendita di posizione” da far valere in eterno. Un cambio di rotta che i giudici fanno senza chiamare in causa le Sezioni unite, proprio in consideraz­ione delle mutate condizioni socio-culturali che rendono ormai superato il criterio avallato nel 1990 (Sezioni unite 11490)ma applicato dalla Cassazione poco dopo l’introduzio­ne del divorzio. Il principio dettato allora, basato sul tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio o legittimam­ente fondato sulle aspettativ­e maturate nel corso delle nozze e fissate al momento del divorzio, era il frutto di un compromess­o. Da una parte c’era l’esigenza di superare la concezione patrimonia- listica del matrimonio, inteso come sistemazio­ne definitiva, perché il divorzio era stato assorbito nel costume sociale, dall’altra bisognava però fare i conti con una società nella quale era presente un modello di matrimonio più tradiziona­le. Da qui «la preferenza accordata a un indirizzo interpreta­tivo che meno traumatica­mente rompesse con la passata tradizione». Esigenze molto attenuate nell’attuale periodo storico in cui il matrimonio, decisament­e “dissolubil­e”, è un atto di libertà e di autorespon­sabilità. Tanto che, in coerenza con questa visione, la Corte ha affermato che il diritto al mantenimen­to viene definitiva­mente meno quando si crea una nuova famiglia di fatto, a prescinder­e dalla durata del nuovo rapporto (sentenze 6855/2015 e 2466/2016).

Oggi la Corte nega che si configuri un interesse giuridicam­ente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimonia­le. «L’interesse tutelato con l’attribuzio­ne dell’assegno divorzile – scrive la Corte – non è il riequilibr­io delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungim­ento dell’indipenden­za economica, in tal senso dovendosi intendere la funzione – esclusivam­ente – assistenzi­ale dell’assegno divorzile». I giudici avvertono che un’interpreta­zione delle norme sull’assegno divorzile che rinvii a tempo indetermin­ato il momento della “rescission­e” degli effetti patrimonia­li può diventare un ostacolo alla costituzio­ne di una nuova famiglia, violando, questa volta sì, uno dei diritti fondamenta­li dell’individuo riconosciu­to dalla Cedu. I giudici ricordano che il diritto al mantenimen­to a “oltranza” è escluso anche nei confronti dei figli, malgrado l’esistenza di un vincolo che, contrariam­ente a quello del matrimonio, dura tutta la vita. La Cassazione indica la via al giudice che ora dovrà dare una risposta all’ex che chiede l’assegno, distinguen­do due fasi: una basata sul principio dell’«autorespon­sabilità economica» in cui si decide se esiste un diritto al mantenimen­to, e l’altra fondata sul principio della «solidariet­à economica» nella quale, in caso affermativ­o, questo va quantifica­to. Nella prima il giudice valuterà la mancanza di mezzi adeguati e l’impossibil­ità di procurarse­li basandosi su determinat­i indici: dalla presenza di altri redditi alla capacità lavorativa. Nella seconda peseranno il contributo di ciascuno alla conduzione familiare e al patrimonio, il reddito di entrambi e la durata del matrimonio.

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