Ora iniziano le «battaglie» per aggiornare i vecchi accordi
La Cassazione ha mandato in soffitta ieri il “tenore di vita” per la determinazione dell’assegno di divorzio con una sentenza epocale di cui va valutato l’impatto sia sui giudizi in corso e futuri, sia su quelli definiti con il vecchio parametro. Compresi – come vedremo – quelli di separazione. Effetti che riguardano centinaia di migliaia di persone: basti ricordare che ogni anno si celebrano circa 50mila divorzi e 90mila separazioni e che praticamente tutti i procedimenti coinvolgono gli avvocati in veste di difensori o consulenti.
Il Codice di procedura civile ricorda all’articolo 384 come l’enunciazione di un principio di diritto da parte della Cassazione obblighi a uniformarsi il solo giudice della causa del merito, quello «del rinvio ad altra sezione». Tuttavia, nel contenzioso divorzile la questione centrale è proprio quella dell’esistenza, o meno, del diritto all’assegno e della sua entità: da ciò discende che la decisione sia storica e destinata rivoluzionare, in maniera sostanziale, i criteri di interpretazione applicati sino ad oggi dai Tribunali e dalle Corti di appello.
Superando esplicitamente due precedenti pronunce delle Sezioni unite, intervenute sul tema nel 1990, la Prima sezione civile ha, al contrario, finalmente ritenuto come «il tenore di vita collida radicalmente con la natura stessa del divorzio» quando viene applicato nell’analisi dell’esistenza o meno del diritto all’assegno, fase che deve invece essere tenuta del tutto autonoma da quella successiva di determinazione della sua misura «ove considerato esistente » . Ecco perché il criterio affermato – l’esistenza o meno di mezzi adeguati e all’indipendenza economica del soggetto richiedente – condizionerà tutti i processi divorzili pendenti: è infatti del tutto improponibile il mantenimento di interpretazioni che conservino, in tutto o in parte, il criterio del tenore di vita demolito ieri.
Di fronte a questo cambiamento, le parti coinvolte in una causa di divorzio possono essere spinte a concordare (soprattutto se ben consigliate) il “loro” punto di accordo prima di qualsiasi intervento del giudice: un punto che sarà certamente al ribasso ri- spetto alle richieste incentrate sul tenore economico della precedente vita coniugale, fuori però dall’alea, sempre presente, della valutazione di un terzo qual è il Collegio. Potrebbe anche succedere, però, che il taglio dell’assegno come l’abbiamo conosciuto finora, unito al permanere del doppio giudizio separazione-divorzio porti una fetta dei separati a tentare di “alzare il prezzo” del consenso alla chiusura definitiva del matrimonio.
Il nuovo principio, sempre in relazione ai giudizi in corso e futuri, finirà poi per riflettersi anche nelle separazioni. Ferma restando la diversa natura di questo assegno – perché il matrimonio è ancora valido – le richieste economiche della parte dovranno essere riconsiderate nella loro globalità, complice anche la legge sul divorzio breve che ha ridotto drasticamente (6 mesi/un anno) i tempi tra due giudizi. Una via percorribile sarà quella di sfruttare la possibilità di optare per l’una tantum divorzile, cioè quella somma corrisposta in un’unica soluzione su accordo degli ex coniugi, a tacitazione definitiva delle domande economiche.
Ma l’archiviazione del tenore di vita come parametro promette di aver effetti (potenzialmente) dirompenti anche sulle sentenze di divorzio già emesse, con giudizio quindi definito, che oggi condizionano la vita degli ex. Si può facilmente prevedere che le richieste di revisione dell’assegno si moltiplicheranno anche se l’articolo 9 della legge sul divorzio presuppone, per la proposizione dell’azione, l’esistenza – concreta e attuale – di «giustificati motivi» di natura economico patrimoniale.
Questo limite – è agevole immaginarlo – verrà però nella pratica forzato, nel tentativo di riproporre al giudice la valutazione dei presupposti delle cifre stabilite: una via, questa che sconterà però le incertezze connesse al libero convincimento di ogni singolo magistrato sull’effettività delle “modifiche” indicate.