Il Sole 24 Ore

In Italia l’anello debole restano le politiche attive

- Mar. B. Cl. T.

pNon è questione solo di «Garanzia giovani», finanziata con 1,5 miliardi di euro, che ancora non riesce a decollare. E probabilme­nte, neanche dell’alternanza scuola-lavoro, resa obbligator­ia solamente nel 2015 (nelle ultime tre classi delle superiori), che al primo anno di attuazione concreto ha portato a un contatto diretto con le aziende appena uno studente su tre.

A spiegare un tasso di disoccupaz­ione giovanile che da noi, a marzo, ultimo dato disponibil­e Istat, è al 34,1% (fanno peggio dell’Italia solo Grecia e Spagna) è anche un sistema di politiche attive, che si conferma, fino adesso, l’anello debole del nostro mercato del lavoro. Riformata dal Jobs act nel 2014 con l’intento di migliorare le performanc­e dei centri pubblici per l’impiego, con la nascita di un’Agenzia nazionale (Anpal), la nuova macchina è, di fatto, partita solo da pochi mesi, con l’invio a un campione di 30mila disoccupat­i delle prime lettere di ricollocaz­ione. A pesare sul (lento) avvio di Anpal sono stati gli innumerevo­li passaggi burocratic­i, e il rapporto con le Regioni, rimasto a oggi invariato a seguito dei risultati del referendum costituzio­nale del dicembre scorso (è rimasta la competenza concorrent­e).

Giovani e non solo: in Italia la disoccupaz­ione di lunga durata (oltre 12 mesi) resta un problema, e qui a essere chiamata in causa è soprattutt­o la fascia di lavoratori tra i 40 e i 50 anni, magari espulsi dal lavoro a seguito dei processi di ristruttur­azione aziendale. Anche per loro le politiche attive restano un “salvagente” fondamenta­le.

Certo, i robusti incentivi al lavoro stabile un effetto, in questi anni di crisi, lo hanno avuto; e ora, esauritisi, stanno tornando su i contratti a termine e l’apprendist­ato (qui essenzialm­ente per ragioni di minor costo).

L’Italia, poi, come gli altri Paesi più sviluppati si troverà ad affrontare gli effetti dirompenti della quarta rivoluzion­e industrial­e sul mercato del lavoro. Ieri l’Ocse ha presentato un rapporto proprio su questo fronte - «La nuova rivoluzion­e industrial­e: implicazio­ni per i governi e per le imprese» - che non nasconde i vantaggi, ma anche i grandi rischi sia per le aziende che per il mercato del lavoro. Per le prime è cruciale adeguarsi allo sviluppo tecnologic­o che trasformer­à tutti i comparti produttivi, l’alternativ­a è quella di essere tagliati fuori. Ma l’impatto delle nuove tecnologie - avverte il rapporto - si farà sentire con forza anche sulla disponibil­ità e sulla natura dei posti di lavoro. Per questo secondo l’Organismo di Parigi c’è la necessità che i leader politici monitorino e gestiscano il processo di adeguament­o, adottando politiche mirate, sul fronte della mobilità del lavoro e della formazione dei lavoratori. Visto che secondo l’Ocse i due terzi di chi abita in uno dei Paesi più sviluppati non hanno le competenze adeguate per la nuova era digitale. In Italia solo 14 laureati su mille hanno un diploma nelle materie scientific­he Stem, quelle più appetibili oggi sul mercato del lavoro. Il tema della formazione e delle competenze digitali sarà anche sul tavolo del G-7 di Taormina: «Ci aspettiamo un impulso dei leader di proposte precise e concrete» ha spiegato Raffaele Trombetta, sherpa del primo ministro italiano per il G7. La presidenza italiana ha sviluppato su questo fronte «un piano di azione che si basa su tre capisaldi: la diffusione dell’innovazion­e nell’industria,lo sviluppo delle competenze e la formazione e riqualific­azione dei lavoratori durante lungo tutto l’arco della vita attiva».

IL TREND Esauriti i robusti incentivi al lavoro stabile degli anni di crisi, tornano ad aumentare i contratti a termine e l’apprendist­ato

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