Il Sole 24 Ore

La riforma di Rajoy aiuta la ripresa ma crescono i precari

- Di Luca Veronese

Mariano Rajoy ha legato il suo destino politico all’occupazion­e. Nella grande crisi, che ha travolto la Spagna, ha continuato a ripetere che «il nemico per i cittadini e per le imprese, è la mancanza di lavoro» e che «la sfida per il governo è creare nuovi posti e nuove possibilit­à di reddito per le famiglie». Non poteva essere altrimenti per un Paese che nel 2008 - prima del crack finanziari­o internazio­nale e delle tensioni sull’euro, prima dello scoppio della bolla immobiliar­e e del collasso delle casse di risparmio - aveva un tasso di disoccupaz­ione inferiore al 10%, come la Germania. Ma che al culmine della crisi ha sfiorato il 27 per cento per poi scendere fino all’attuale 18,8 per cento.

Il premier conservato­re rivendica i risultati ottenuti dalla riforma del mercato del lavoro e delle regole della contrattaz­ione: «La più difficile ma anche la più decisiva - ha spiegato più volte - tra le riforme introdotte dal governo». Il recupero dei livelli occupazion­ali danno ragione, almeno in parte, a Rajoy che ha promesso di riportare sopra i 20 milioni il numero di occupati spagnoli entro il 2020. Gli spagnoli iscritti al sistema di previdenza nazionale sono oggi 18,12 milioni: 212mila in più rispetto a marzo e quasi due milioni in più rispetto al minimo storico del 2012. Gli iscritti alle liste di disoccupaz­ione - dati del ministero del Lavoro - sono invece 3,57 milioni: in continua diminuzion­e dal massimo di cinque milioni raggiunto cinque anni fa. Allo stesso tempo tuttavia, i dati dell’economia iberica mostrano con chiarezza quanto sia profondo il problema della sotto-occupazion­e, dei contratti precari, del mancato accesso al mercato del lavoro segnalato dalla Bce.

La riforma voluta dal governo di centro-destra nel 2012 ha aumentato la flessibili­tà in uscita riducendo drasticame­nte i costi per le imprese che licenziano (senza giusta causa o per cause economiche); ha inoltre concesso ulteriore spazio alla contrattaz­ione in deroga a livello aziendale, sia sugli orari che sulle retribuzio­ni. Le nuove regole hanno aiutato la ripresa dell’economia - anche quest’anno la crescita arriverà vicino al 3% - ma hanno anche fatto aumentare la spaccatura tra lavoratori stabili e protetti e quelli precari e senza prospettiv­e. «Il Pil della Spagna - spiega Angel Talavera analista di Oxford Economics - tornerà quest’anno ai livelli pre-crisi ma lo farà con due milioni in meno di occupati rispetto a dieci anni fa. La produttivi­tà è aumentata anche grazie

LE NUOVE REGOLE Il governo ha ridotto i costi delle imprese costrette a licenziare Il 40% dei contratti è part-time o a tempo

alle riforme struttural­i e di conseguenz­a sono aumentate le esportazio­ni. Ma i livelli di occupazion­e più bassi e il calo delle retribuzio­ni indicano che a sopportare tutto il peso della ripresa sono stati i lavoratori».

Secondo i dati ufficiali, gli spagnoli che hanno firmato più di dieci contratti di lavoro nell’ultimo anno sono saliti dai 150mila del 2012 ai 270mila dello scorso anno; il 26% dei contratti firmati oggi hanno una durata inferiore alla settimana e il 40% non va oltre il mese. I lavoratori part-time o a tempo determinat­o sono oggi il 40% degli iscritti al sistema previdenzi­ale. «Per molti spagnoli - dice Marcel Jansen, economista della Universida­d Autonoma di Madrid - il mercato del lavoro è come il gioco delle sedie: si gira, si gira e quando finisce la musica non sempre si trova un posto. E anche quando si ha un’occupazion­e non sempre si evita il rischio del reddito basso o della povertà».

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