Russiagate, Comey voleva più risorse
Il clamoroso licenziamento del direttore dell’Fbi da parte di Trump porta lo scontro istituzionale a livelli mai visti Il presidente Usa: «Non stava facendo un buon lavoro» - I democratici: un nuovo Watergate
La risata di Serghej Lavrov ha echeggiato a lungo al dipartimento di Stato e alla Casa Bianca. «Hanno licenziato James Comey? Scherzate…». La battuta sulla cacciata del direttore dell’Fbi scappata al ministro degli Esteri di Mosca - quella Mosca indagata dall’Fbi per interferenze nelle elezioni e il sospetto di collusione con la campagna di Donald Trump - ieri è diventata l’immagine, ripetuta all’infinito in tv, della bufera scatenata dalla decisione-shock. Qualche giorno prima di essere silurato, riporta il New York Times, Comey avrebbe chiesto al dipartimento della Giustizia un aumento significativo delle risorse da destinare all’inchiesta sulle sospette interferenze russe nella campagna elettorale vinta da Trump.
Almeno una decina di senatori del partito repubblicano del presidente, a cominciare da John McCain, ha espresso serie preoccupazioni. Assieme all’intera opposizione democratica che ha evocato la madre degli scandali politici americani - il Watergate - e chiesto subito la nomina di un procuratore speciale per far luce sulla pista russa.
Le denunce di un nuovo, improvviso e drammatico aggravarsi della crisi istituzionale che accompagna l’amministrazione Trump si sono moltiplicate con il passare delle ore. In aula al Senato i democratici hanno premuto per briefing a porte chiuse con i vertici del dipartimento della Giustizia, di cui l’Fbi è parte seppur come organizzazione indipendente. All’ombra di un teso dibattito sulla spirale che potrebbe aver spinto la Casa Bianca ad agire: si sono accavallate accuse di incompetenza e ignoranza di governo, di confusione e sfortunato tempismo, di desideri più o meno espliciti di far deragliare scomode indagini sul- l’amministrazione.
Il vicepresidente Mike Pence, precipitatosi a Capitol Hill per calmare lo shock, ha difeso la svolta. «Non è legata all’inchiesta russa - ha assicurato -. Il direttore dell’Fbi aveva perso la fiducia degli americani e il presidente ha agito con determinazione, all’agenzia serve fresca leadership per ritrovare credibilità». Trump, in una serie di tweet, ha aggiunto che il prossimo direttore farà «molto meglio di Comey». E a margine dell’incontro con Lavrov - su Siria e Ucraina - ha incalzato che «non stava facendo un buon lavoro».
Ma il nodo delle motivazioni ha tenuto con il fiato sospeso Washington. La lettera con cui Trump ha licenziato Comey contiene una digressione considerata bizzarra e controversa dai veterani della politica americana: «Se apprezzo che lei mi abbia informato in tre occasioni che io non sono sotto indagine, concordo con il dipartimento della Giustizia che lei non è in grado di guidare l’agenzia». Il riferimento implicito, con impropria auto-scagionatura, appare all’inchiesta russa. Le discutibili particolarità non finiscono qui. Comey è soltanto il secondo direttore dell’Fbi che, per quanto ai ferri corti con un presidente, viene licenziato, preceduto da William Sessions rimosso tuttavia da Bill Clinton per violazioni etiche. E Comey, repubblicano moderato, era solo al terzo anno di un incarico decennale iniziato sotto Barack Obama: i mandati all’Fbi non coincidono con quelli presidenziali per rafforzarne l’indipendenza.
Ancora: la sfiducia a Comey prende formalmente le mosse, come indicato da Trump stesso, da un rapporto del viceministro alla Giustizia Rod Rosenstein, in servizio da due settimane, coadiuvato dal ministro Jeff Sessions, fedelissimo di Trump, costretto a farsi da parte dalle indagini russe per relazioni sospette. Quel rapporto è stato però giudicato superficiale: fa leva su critiche pubbliche alla gestione di Comey del caso sulle e-mail governative che Hillary Clinton, da segretario di Stato di Obama, fece passare per un server personale. Comey non incriminò Clinton ma la attaccò in un’insolita conferenza stampa e a pochi giorni dalle elezioni avviò supplementi di indagini. Trump ha però sempre difeso simili scelte. Gli scontri con Comey riguardano oggi la sua presidenza: la pista russa, le insinuazioni smentite dall’Fbi che Obama lo avrebbe fatto spiare, le fughe di notizie sul caos nell’amministrazione.
BRACCIO DI FERRO Una parte dei Repubblicani e i democratici chiedono la nomina di un procuratore speciale per far luce sulle interferenze russe