Le imprese pagano fino al 45% in più
pDalla nuova Strategia non ci si può attendere un annullamento di divari di prezzo persistenti e sedimentati negli anni. Più realistico sperare in una parziale annullamento del gap.
Per capire da dove si parte torna utile il Rapporto sul mercato dell’energia appena pubblicato sul sito del ministero dello Sviluppo economico. L’energia elettrica il caso più critico: con l’eccezione delle famiglie collocate nelle fasce inferiori di consumo, il prezzo italiano è tra i più elevati in Europa (dal 17 al 54% in più della media Ue 27); non va meglio per le im- prese che soffrono un differenziale che va dal 22 al 45% in base alla classe di consumo.
Merita un discorso a parte il gas, in cui riveste un peso determinante la componente fiscale. Per le famiglie, il confronto con gli altri Paesi ci penalizza solo per le classi più alte di consumo. Al contrario, per le imprese il differenziale è maggiore per quelle con i consumi più bassi, che pagano un prezzo superiore del 17% alla media Ue.
Il dato comune, ad ogni modo, è che nel 2016 sembra essersi arrestato il processo di (parziale) convergenza dei prezzi italiani verso quelli europei iniziato dopo il 2012.
La Sen indica due linee di azione, che non sono prive di qualche rischio e che saranno forse divisive in sede di consultazione. Il prezzo dell’energia elettrica per i grandi consumatori industriali dovrà scendere con le nuove agevolazioni per gli energivori che, dopo il via libera della Ue, dovrebbero scattare nel 2018. Circa 3mila le imprese interessate, manifatture medie e grandi, che pagheranno di meno in termini di onere per gli incentivi alle rinnovabili. Le imprese ad altissimo consumo (rapporto tra costo bolletta elettrica e valore aggiunto superiore al 20%) pagheranno solo lo 0,5% del valore aggiunto. Per le imprese con un rapporto inferiore al 20%, invece, l’onere sarà variabile e calcolato in base al costo energia/fatturato, ma comunque almeno pari al 15% dell’importo non agevolato. Un sistema apparentemente complesso ma, secondo le simulazioni, efficace al punto da consentire risparmi significativi: oggi un impresa con consumi tra 70 e 150 Gwh/anno paga tra 75-87 euro per Mwh, con la riforma si scenderà fino a una forbice tra 53 e 74 euro per le imprese super energivore. Un assist, ad esempio, per le grandi imprese siderurgiche, come l’Ilva o la ex Lucchini di Piombino al bivio del rilancio. Da verificare, semmai, l’impatto in termini di redistribuzione degli oneri su altre tipologie di utenze, come quelle domestiche e le piccolissime imprese.
Altro problema, altra soluzione per quanto riguarda il gas. Si calcola che tra Psv (prezzo di scambio sul mercato italiano) e Ttf (prezzo di scambio sul mercato olandese) permanga una differenza del 10%, quasi integralmente legata ai costi di logistica. L’antidoto in questo caso si chiama “corridoio di liquidità”, che potrebbe valere risparmi per 300 milioni. Per alcuni anni, un soggetto regolato andrebbe ad acquisire capacità di trasporto dagli hub del Nord Europa dove il mercato è liquido. La capacità acquisita potrebbe essere offerta ai consumatori italiani tramite servizi di trasporto integrati su più reti e mediante aste giornaliere.
Qualche discussione in più, in epoca di movimenti “Nimby”, potrebbe produrla il piano per ridurre la nostra elevata dipendenza da forniture di gas russo (problematica soprattutto negli inverni rigidi) attraverso nuove infrastrutture di import (Tap ma non solo) o l’aumento della nostra capacità di rigassificazione. In quest’ultimo caso, nella Strategia si privilegia la realizzazione di un impianto galleggiante da circa 4 miliardi di metri cubi annui.
GAS Corridoio di liquidità per allinearci ai prezzi del Nord Europa. Nel piano rigassificatore galleggiante da 4 miliardi di metri cubi