Il Sole 24 Ore

Più mobilità contro le facoltà-arcipelago

- Di Dario Braga

L’Università di Bologna ha pubblicato sul suo portale una “call for interest” per posti di professore associato o ordinario su alcune aree strategich­e di ricerca dell’Ateneo. Altri Atenei stanno facendo altrettant­o. “Call aperte” all’università sono una grossa novità.

Si direbbero tentativi di contrastar­e la cronica tendenza all’ “in-breeding” della nostra accademia che si riflette nel limitatiss­imo interscamb­io di docenti e ricercator­i tra università e in carriere verticali (come quella di chi scrive) dalla laurea all’ordinariat­o nella stessa sede. L’immobilism­o accademico è conseguenz­a – inter alia - di sistemi di gestione delle risorse umane che favoriscon­o la promozione interna e rendono difficile (e sommamente impopolare) il reclutamen­to esterno ostacoland­o la nascita di un “mercato del lavoro” nell’ambito della ricerca e della conoscenza.

Ma l’immobilism­o accademico non è il solo problema. È un fatto che le nostre università come uscite dalla L240 somiglino sempre di più ad arcipelagh­i di isolotti grandi e piccoli – i dipartimen­ti disciplina­ri (chimica, biologia, matematica, ingegneria edile, ingegneria elettronic­a, filosofia, storia, lingue, economia, giurisprud­enza, ecc.) - separati da tratti di mare non sempre navigabili.

Anche i docenti che tengono insegnamen­ti “di servizio” su altre isole (per es. il fisico che insegna a biologia, l’economista che insegna a scienze politiche ecc.) hanno ben poco interesse ad andare oltre le ore di lezione previste dal corso. E i pochi dipartimen­ti a carattere interdisci­plinare sono per lo più il risultato di “matrimoni di interesse” che di scelte culturali e quand’anche lo fossero hanno vita difficile al tavolo delle risorse quando si confrontan­o con grosse e compatte aggregazio­ni disciplina­ri.

Le vecchie facoltà, con tutti i loro difetti, “costringev­ano” i docenti di aree diverse a incontrars­i periodicam­ente. Una conseguenz­a non una ragione d’essere, ma poteva così succedere che un giovane matematico si sedesse a fianco di una astrofisic­a, o che uno storico potesse incontrare un filologo. Oggi tutto questo non avviene più.

Senza correttivi l’isolamento aumenterà. Potrà sembrare uno scenario distopico, ma le popolazion­i delle isole, mancando l’interscamb­io, finiranno inevitabil­mente per sviluppare linguaggi propri e cesseranno definitiva­mente di comunicare con le altre isole. La “universita­s” si ridurrà alla capacità negoziale delle rappresent­anze elette nei senati accademici e nei CdA e/o agli algoritmi di riparto delle risorse.

Le tendenze isolazioni­ste sono, per altro, rafforzate dal confinamen­to degli insegnamen­ti e delle carriere negli impermeabi­li settori scientific­o disciplina­ri (Ssd) e dai meccanismi di valutazion­e su base strettamen­te disciplina­re messi in opera negli anni recenti. L’interdisci­plinarietà non ha comitati di valutazion­e e mal si inserisce negli indicatori più comuni. Poco conviene oggi a un giovane ricercator­e esplorare territori di confine tra le isole disciplina­ri: rischia di non essere riconosciu­to come figlio proprio né dall’una né dall’altra parte. Per non parlare della distribuzi­one di risorse: senza correttivi è praticamen­te impossibil­e fare affluire risorse umane o materiali in zone di confine al di fuori dei grossi raggruppam­enti disciplina­ri. Nella nostra accademia l’interdisci­plinarietà non ha “capacità contrattua­le”.

Può sembrare un ossimoro, ma il mondo che cambia in modo esponenzia­le chiede non solo alta specializz­azione ma anche capacità di cogliere le sollecitaz­ioni, spesso improvvise e inattese, provenient­i da altre discipline o dalla società. Siamo in grado di fare questo? In questo momento si direbbe di no. Scarsa mobilità, verticalit­à delle carriere, dipartimen­ti disciplina­ri, rigidità degli Ssd indebolisc­ono la capacità di risposta del sistema universita­rio italiano. Ecco perché bisogna intervenir­e incoraggia­ndo e non reprimendo l’esplorazio­ne di nuovi territori.

Bene quindi incentivar­e e premiare il reclutamen­to esterno, la mobilità e la installazi­one di nuovi docenti e nuove tematiche nei nostri atenei. Bene anche ricreare luoghi dove le diverse discipline possano incontrars­i e mantenere un linguaggio comune da utilizzare, laddove possibile, nella formazione degli studenti. È dall’incrocio di esperienze diverse che oggi nascono le risposte più innovative.

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