Il Sole 24 Ore

Ma le uscite per gli acquisti sono cresciute ancora

- Di Gianni Trovati

Ringrazian­do il commissari­o straordina­rio alla spending review Yoram Gutgeld per il contributo in risposta all’articolo «Su pensioni e acquisti spending review e riforme non fermano la spesa», è utile sottolinea­re che l’approfondi­mento pubblicato lunedì non ha inteso proporre alcun confronto, né esplicito né implicito, con esperienze e risultati di altri Paesi; ognuno dei quali ha naturalmen­te caratteris­tiche, problemi e punti di forza specifici all’interno del proprio bilancio pubblico.

L’articolo, più sempliceme­nte, ha messo in fila le cifre, tratte dai conti trimestral­i dell’Istat e dai documenti ufficiali di finanza pubblica, che registrano la dinamica di entrate e uscite del bilancio consolidat­o della Pa nella fase avviata dalla crisi di finanza pubblica del 2011. In sintesi, fra 2011 e 2016 le spese correnti al netto degli interessi sono aumentate di 39,3 miliardi di euro (+5,9%), in linea con l’andamento delle entrate da fisco e contributi (+37,9 miliardi) che infatti hanno permesso di mantenere un saldo primario consistent­e (25,5 miliardi nel 2016) anche se lontano dal picco di 36,3 miliardi realizzato nel 2012.

Tra le spese correnti, è stata segnalata la crescita della spesa per pensioni, che si avvicinerà quest’anno ai 265 miliardi contro i 245 del 2011 e di quella per «consumi intermedi», che nelle tabelle Istat vale 91,1 miliardi nel 2016 mentre era di 87,2 nel 2011. All’impennata di spesa per il welfare extra-previdenza (da 24 a 37 miliardi) contribuis­cono invece i dieci miliardi del «bonus 80 euro» che l’Istat, in linea con gli obblighi di contabilit­à europea, cataloga come spesa pubblica e non come riduzione di tasse: a gonfiare questa voce, com’è inevitabil­e, sono state inoltre le esigenze crescenti di ammortizza­tori e interventi sociali in genere alimentate dalla crisi economica. Per concludere, è stata invece forte la flessione degli investimen­ti fissi lordi, che passando dai 45,3 miliardi del 2011 ai 35 miliardi del 2016 (-22,6%) hanno pagato caro il conto della correzione di finanza pubblica.

Un’analisi di questo tipo, che copre l’attività di vari governi (e di diverse formule, politiche e tecniche, di esecutivo), misura con i numeri le difficoltà incontrate dai tentativi di traduzione pratica delle premesse/promesse delle spending review di questi anni, dai «100 miliardi di spesa aggredibil­e» evocati da Pietro Giarda nel 2012 ai 34 miliardi di risparmi annui indicati come obiettivo 2016 dal rapporto di Carlo Cottarelli. Queste difficoltà sono alimentate, come conferma l’intervento di Yoram Gutgeld, anche dal fatto che «circa il 90% dei costi della Pa è legato a servizi ritenuti essenziali e costitutiv­i del concetto di Stato»: un problema di cui è utile che la politica si ricordi prima di tornare a lanciarsi in promesse difficili da veder realizzate a consuntivo.

LE DINAMICHE Le serie storiche dal 2011 mostrano l’aumento dei costi anche nella previdenza mentre scende il peso di personale e investimen­ti

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