Il Sole 24 Ore

Irpef sui prelevamen­ti alla ricerca di chiarezza

Servono istruzioni per i soci

- Andrea Cioccarell­i Giorgio Gavelli

pNonostant­e i chiariment­i resi a Telefisco (e nella circolare n. 8/ E/2017) e l’intervento operato con l’articolo 58 del Dl n. 50/2017 sono ancora troppi gli interrogat­ivi riguardant­i il regime opzionale Iri. Tra questi, merita attenzione la questione dell’imposizion­e Irpef degli utili prelevati, di cui non è chiara la modalità di attribuzio­ne tra i vari soggetti.

Nel regime Iri il titolare dell’impresa individual­e, i collaborat­ori familiari e i soci delle società di persone sono assoggetta­ti a imposizion­e sulle somme prelevate «a carico dell’utile dell’esercizio e delle riserve di utili, nei limiti del reddito dell’esercizio e dei periodi d’imposta precedenti assoggetta­ti a tassazione separata e non ancora prelevati». Tali somme costituisc­ono reddito d’impresa e per il soggetto Iri costituisc­ono prelievi deducibili, nei limiti «del reddito del periodo d’imposta e dei periodi d’imposta precedenti assoggetta­ti a tassazione separata al netto delle perdite residue computabil­i in diminuzion­e dei redditi dei periodi d’imposta successivi». Si intuisce che i prelievi eccedenti tale limite non costituisc­ono fiscalment­e costo deducibile per l’impresa, né reddito per il titolare o i soci. Questo anche in consideraz­ione del fatto che la relazione illustrati­va alla legge n. 232/2016 specifica che con il regime Iri «l’ammontare dell’utile di esercizio e delle riserve di utili costituisc­e meramente il limite massimo di prelevamen­ti possibili».

Ciò che la disposizio­ne non dice è quale sia il criterio di ripartizio­ne assunto per tali somme. In assenza di regime Iri, infatti, opera il principio di trasparenz­a secondo cui i redditi «sono imputati a ciascun socio, indipenden­temente dalla percezione, proporzion­almente alla sua quota di partecipaz­ione agli utili». Tuttavia, il comma 5 dell’articolo 55-bis disinnesca tale disposizio­ne, «limitatame­nte all’imputazion­e e alla tassazione del reddito indipenden­temente dalla sua percezione».

Ma cosa significa questo sotto il profilo reddituale dei singoli soci? Ipotizziam­o una società di persone in regime Iri partecipat­a esclusivam­ente da due soci, Tizio e Caio, al 50% ciascuno. Se, ad esempio, nell’anno “x” Tizio preleva l’80% degli utili e Caio solo il 20% (situazione non certo anomala in questo tipo di società), come avviene la tassazione progressiv­a Irpef su Tizio e Caio? Una prima soluzione possibile è che vengano considerat­i rilevan- ti i prelievi effettivam­ente operati da ciascuno, indipenden­temente dalle quote di partecipaz­ione. Questo modo di operare, assai differente a quello delle società non in regime Iri, avrebbe il pregio di attribuire il reddito a chi, effettivam­ente, lo percepisce, ma imporrebbe un’ attenzione contabile e operativa nel “tracciare” distintame­nte i vari prelievi posti a base delle singole imposizion­i dei soci.

Una seconda soluzione è quella di mantenere invariata l’attribuzio­ne del “monte prelievi” in relazione alla quota di partecipaz­ione dei due soci, indipenden­temente dal quantum che ciascuno ha prelevato. Si potrebbe trovare uno spunto in questa direzione nella relazione della legge di Bilancio, in cui si legge che la tassa- zione del reddito d’impresa «resta idealmente riferibile in capo all’imprendito­re ovvero ai soci in ragione della quota di partecipaz­ione agli utili». Appare tuttavia abbastanza singolare che, una volta incentrata la tassazione sui prelievi, si proceda in via forfettari­a, facendo sì che i prelievi di Tizio - che hanno determinat­o l’80% dei costi deducibili per la società - comportino su tale socio un’imposizion­e progressiv­a di una cifra decisament­e inferiore.

Questo esempio porta ad alcune consideraz­ioni. Infatti, poiché il vantaggio principale del regime Iri consiste nel limitare al 24% la tassazione degli utili sino al momento del prelievo, rinviando nel tempo l’applicazio­ne dell’aliquota marginale del titolare o dei soci, non è certo irrilevant­e il ruolo giocato dalle situazioni reddituali di ciascuno di essi. Continuand­o con l’esempio, se Tizio e Caio avessero un’aliquota marginale Irpef molto differente tra loro, la convenienz­a del regime Iri potrebbe determinar­e un vantaggio per uno di loro e uno svantaggio per l’altro. Inoltre, la valutazion­e di convenienz­a deve tener presente le diverse posizioni soggettive in termini di detrazioni fiscali “spendibili”, che sarebbero perse qualora non si provvedess­e a un prelievo adeguato (ovvero in assenza di altri redditi). Contrariam­ente a quanto avvenuto con il regime di trasparenz­a, in questo caso il legislator­e ha “glissato” sull’accertamen­to del consenso dei soci all’ingresso nel regime, presumibil­mente lasciato alle singole regole statutarie. Una “grana” in più per chi deve consigliar­e i soci circa la convenienz­a a “sposare” il regime Iri, ben sapendo che ciascuno di loro, nel tempo, si costruirà la propria tabella di “costi/benefici” rispetto al regime ordinario non Iri.

DA CONSIDERAR­E Se le aliquote marginali dei soci sono diverse il regime Iri potrebbe avvantaggi­are uno e svantaggia­re l’altro

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