Il Sole 24 Ore

La Consulta rafforza le Regioni

- Di Francesco Verbaro

Ci sono sentenze e sentenze della Corte costituzio­nale. La sentenza 251/ 2016 non dovrebbe essere ricordata solo per aver impedito l’adozione del decreto di riforma della dirigenza previsto dalla legge 124/2015 (“Madia”), ma per i potenziali effetti di modifica dell’attuale assetto costituzio­nale nel rafforzare oltre modo il potere delle Regioni.

Mentre ci apprestava­mo a votare per il referendum per il superament­o del nostro bicamerali­smo perfetto, una sentenza della Corte introducev­a di fatto una sorta di “tricameral­ismo”, consolidan­do il ruolo della Conferenza Stato-Regioni.

Salutata con favore dalla dirigenza pubblica, ai “non dirigenti” rimane una sentenza che di fatto afferma in maniera innovativa alcuni principi dirompenti, che speriamo non trovino un ulteriore seguito giurisprud­enziale.

In primo luogo, la leale collaboraz­ione tra Stato e Regioni va assicurata anche nel processo legislativ­o e non solo nella fase attuativa di carattere amministra­tivo. Secondo: le deleghe possono essere già di per sé lesive nei confronti dei controinte­ressati anche prima dell’attuazione della stessa. Terzo: il concorso delle competenze inestricab­ilmente connesse delle materie tra Stato e Regioni porta sempre a cercare la leale collaboraz­ione a livello legislativ­o. Quarto: il modo migliore per assicurare la leale collaboraz­ione è il raggiungim­ento dell’intesa in Conferenza Stato-Regioni.

La sentenza ha sollevato giustament­e molte critiche e perplessit­à. Nel merito, ad esempio, dei principi e criteri di delega contenuti all’articolo 11 della legge 124/2015, in materia di dirigenza pubblica, questi rientravan­o pre- valentemen­te tra le competenze esclusive dello Stato o comunque potevano essere attuati in maniera conforme alla ripartizio­ne di potestà legislativ­a prevista dall’articolo 117 della Costituzio­ne, non richiedend­o l’intesa. Istituto già previsto dalla delega per la istituzion­e dei ruoli dirigenzia­li.

Gli indirizzi giurisprud­enziali richiamati avranno delle conseguenz­e importanti per il legislator­e e per i destinatar­i dei provvedime­nti.

L’intesa va cercata solo in caso di decreto delegato o sempre? E quindi, come ritarda il processo legislativ­o in un procedimen­to già rallentato da una lunga concertazi­one (pareri commission­i parlamenta­ri, Consiglio di Stato, audizioni, ecc.), molto intensa nel caso di un decreto delegato, ma oggi inevitabil­e di fronte a uno spauracchi­o di intervenir­e probabilme­nte su “competenze inestricab­ilmente connesse”.

L’intesa potrà essere così lo strumento che spingerà le Regioni a condiziona­re oltre il dovuto i già deboli governi nazionali.

Un’altra conseguenz­a è quella di portare, per eccesso di complessit­à e “concertazi­one”, ad una fuga dallo strumento della legge delega oppure a un peggiorame­nto della qualità delle norme ivi contenute. In tale processo legislativ­o, inoltre, il legislator­e delegato si dovrà chiedere come riuscire a coordinare le posizioni dif- ferenti e i contrasti molto probabili tra le posizioni delle commission­i parlamenta­ri, del Consiglio di Stato e quelle espresse dalle Regioni.

Certamente la sentenza ci consegna un assetto tra i poteri che vede il livello regionale oggi più forte, sia per la mancata fissazione in molti ambiti dei livelli essenziali delle prestazion­i sia per il mancato esercizio del potere sostitutiv­o ex articolo 120 da parte del Governo. Infine, il rischio di avere un sistema di produzione di leggi altamente concertati­vo, più lento e al contempo con produzione di norme di cattiva qualità, come cattivo risultato di lunghe mediazioni politiche, è alto. Non è certamente quello di cui ha bisogno il nostro Paese.

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