«Studi di settore» per il digitale
L’economia digitale ha implicazioni molto importanti per la crescita economica di un Paese. Essa è fondamentale per il progresso economico e per i conseguenti aumenti di efficienza e di produttività.
Vanno quindi evitati impedimenti al suo sviluppo, che comunque sarebbero ormai impensabili vista la diffusione della web economy a livello globale e nella vita individuale. L’economia digitale pone però al tempo stesso sfide importanti ai sistemi tributari – e in materia di concorrenza – che richiedono precisi interventi da parte dei Governi.
Il tipo di imposte e la definizione delle basi imponibili che abbiamo finora utilizzato vanno ripensate e adattate al nuovo contesto digitale. Il concetto di stabile organizzazione usato per la tassazione delle multinazionali e previsto dal modello Ocse di convenzione contro le doppie imposizioni, quando riferito alle imprese digitali, presenta notevoli difficoltà di applicazione che suggeriscono l’utilità di un cambio di strategia. In un’economia sempre più immateriale è complicato definire in modo incontrovertibile le diverse basi imponibili e stabilire modalità di tassazione certe. Vi sono due rischi: quello di un’evaporazione delle basi imponibili più mobili e quello di una riduzione dell’autonomia degli Stati nel tassare le basi domestiche. Tutto ciò ha, se si vuole enfatizzare, un carattere pericoloso per la sovranità fiscale degli stati. Nonostante gli sforzi sul piano internazionale per definire modalità adeguate di tassazione di queste nuove basi imponibili (ad esempio, i lavori BEPS in sede OCSEG20), l’approccio finora utilizzato dai diversi paesi non è stato un approccio comune ma essenzialmente unilaterale e caso per caso. Le amministrazioni fiscali di alcuni paesi (Italia, Francia, Regno Unito) hanno avviato procedure di controllo e accertamenti molto utili che hanno prodotto un’apprezzabile riduzione dei fenomeni di elusione messi in atto dalle imprese digitali – si vedano i recenti successi dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza che hanno permesso un recupero di gettito significativo. Tuttavia è importante ribadire che un’azione solo sul piano nazionale è subottimale e poco efficace, date le notevoli opportunità di elusione esistenti.
Gli sforzi dei Governi dell’area Ocse devono quindi andare nella direzione di trovare una soluzione efficace sul piano globale, che richiederà tempo e molti sforzi diplomatici. Il Governo italiano si è impegnato a proporre possibili soluzioni concrete in sede europea e internazionale, senza per questo rinunciare a definire una possibile strategia nazionale di intervento in materia.
Nel recente vertice G20 di Baden Baden (marzo 2017) i Ministri finanziari hanno discusso di tas- sazione dell’economia digitale ed è emersa la consapevolezza dell’importanza di un approccio condiviso. L’Italia ha inserito il tema della tassazione dell’economia digitale anche nell’agenda del G7 dei Ministri finanziari di Bari, che si apre oggi, con l’obiettivo di stimolare ulteriormente la discussione per raggiungere nel breve periodo progressi in merito alle nuove possibili forme di tassazione di questo settore. Non resta...allora che trovare soluzioni credibili che permettano l’individuazione delle nuove basi imponibili e la loro tassazione adeguata. E deve esser chiaro, ciò è nell’interesse anche delle imprese digitali, delle multi-sided platforms e degli OTT (over the top). Se questi soggetti cercano il conflitto con gli stati e non si rassegnano all’idea di dover pagare una parte equa di imposte, conflitto avranno! In fin dei conti, gli stati nazionali hanno ancora il monopolio della forza, politica e fiscale.
Le basi imponibili sono sempre più immateriali, quindi dobbiamo usare ogni traccia fisica (digitale) per definire le basi imponibili, sia con forme di imposizione indiretta (accise sui consumi e transazioni digitali), sia soprattutto traducendo i dati digitali di base in criteri presuntivi di ricavo – uno studio di settore per l’economia digitale? – o nella ripartizione degli utili sul piano nazionale. Le aziende che operano nei contesti delle piattaforme digitali multiparti dovranno accettare di svolgere il ruolo di sostituto di imposta, senza determinare un aggravio dei costi di compliance. Allo stesso tempo, la misurazione del numero degli utenti e del traffico dati (e della sua qualità) su base territoriale è l’unica strada per il nuovo fisco digitale. Escludendo l’ipotesi, almeno nel breve termine, di una bit tax, sia per ragioni politiche, sia di enforcement, prospettive interessanti presenta la strada dell’introduzione di misuratori/contatori digitali, che permettano il rilevamento del numero di utenti, la natura, l’intensità e la durata dei contatti – questi sono i parametri decisivi che determinano i ricavi dei grandi operatori web. Naturalmente deve esserci la collaborazione delle infrastrutture nazionali proprietarie della rete. La rotta è impervia ma non ci sono alternative per evitare la scomparsa delle basi imponibili; e quindi la reazione dura e unilaterale degli stati sovrani – come sta avvenendo negli ultimi due anni. In fin dei conti, una guerra fiscale non conviene a nessuno, nemmeno alle imprese digitali, ed è possibile trovare una soluzione soddisfacente e condivisa.