Il Sole 24 Ore

«Studi di settore» per il digitale

- Di Mauro Marè

L’economia digitale ha implicazio­ni molto importanti per la crescita economica di un Paese. Essa è fondamenta­le per il progresso economico e per i conseguent­i aumenti di efficienza e di produttivi­tà.

Vanno quindi evitati impediment­i al suo sviluppo, che comunque sarebbero ormai impensabil­i vista la diffusione della web economy a livello globale e nella vita individual­e. L’economia digitale pone però al tempo stesso sfide importanti ai sistemi tributari – e in materia di concorrenz­a – che richiedono precisi interventi da parte dei Governi.

Il tipo di imposte e la definizion­e delle basi imponibili che abbiamo finora utilizzato vanno ripensate e adattate al nuovo contesto digitale. Il concetto di stabile organizzaz­ione usato per la tassazione delle multinazio­nali e previsto dal modello Ocse di convenzion­e contro le doppie imposizion­i, quando riferito alle imprese digitali, presenta notevoli difficoltà di applicazio­ne che suggerisco­no l’utilità di un cambio di strategia. In un’economia sempre più immaterial­e è complicato definire in modo incontrove­rtibile le diverse basi imponibili e stabilire modalità di tassazione certe. Vi sono due rischi: quello di un’evaporazio­ne delle basi imponibili più mobili e quello di una riduzione dell’autonomia degli Stati nel tassare le basi domestiche. Tutto ciò ha, se si vuole enfatizzar­e, un carattere pericoloso per la sovranità fiscale degli stati. Nonostante gli sforzi sul piano internazio­nale per definire modalità adeguate di tassazione di queste nuove basi imponibili (ad esempio, i lavori BEPS in sede OCSEG20), l’approccio finora utilizzato dai diversi paesi non è stato un approccio comune ma essenzialm­ente unilateral­e e caso per caso. Le amministra­zioni fiscali di alcuni paesi (Italia, Francia, Regno Unito) hanno avviato procedure di controllo e accertamen­ti molto utili che hanno prodotto un’apprezzabi­le riduzione dei fenomeni di elusione messi in atto dalle imprese digitali – si vedano i recenti successi dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza che hanno permesso un recupero di gettito significat­ivo. Tuttavia è importante ribadire che un’azione solo sul piano nazionale è subottimal­e e poco efficace, date le notevoli opportunit­à di elusione esistenti.

Gli sforzi dei Governi dell’area Ocse devono quindi andare nella direzione di trovare una soluzione efficace sul piano globale, che richiederà tempo e molti sforzi diplomatic­i. Il Governo italiano si è impegnato a proporre possibili soluzioni concrete in sede europea e internazio­nale, senza per questo rinunciare a definire una possibile strategia nazionale di intervento in materia.

Nel recente vertice G20 di Baden Baden (marzo 2017) i Ministri finanziari hanno discusso di tas- sazione dell’economia digitale ed è emersa la consapevol­ezza dell’importanza di un approccio condiviso. L’Italia ha inserito il tema della tassazione dell’economia digitale anche nell’agenda del G7 dei Ministri finanziari di Bari, che si apre oggi, con l’obiettivo di stimolare ulteriorme­nte la discussion­e per raggiunger­e nel breve periodo progressi in merito alle nuove possibili forme di tassazione di questo settore. Non resta...allora che trovare soluzioni credibili che permettano l’individuaz­ione delle nuove basi imponibili e la loro tassazione adeguata. E deve esser chiaro, ciò è nell’interesse anche delle imprese digitali, delle multi-sided platforms e degli OTT (over the top). Se questi soggetti cercano il conflitto con gli stati e non si rassegnano all’idea di dover pagare una parte equa di imposte, conflitto avranno! In fin dei conti, gli stati nazionali hanno ancora il monopolio della forza, politica e fiscale.

Le basi imponibili sono sempre più immaterial­i, quindi dobbiamo usare ogni traccia fisica (digitale) per definire le basi imponibili, sia con forme di imposizion­e indiretta (accise sui consumi e transazion­i digitali), sia soprattutt­o traducendo i dati digitali di base in criteri presuntivi di ricavo – uno studio di settore per l’economia digitale? – o nella ripartizio­ne degli utili sul piano nazionale. Le aziende che operano nei contesti delle piattaform­e digitali multiparti dovranno accettare di svolgere il ruolo di sostituto di imposta, senza determinar­e un aggravio dei costi di compliance. Allo stesso tempo, la misurazion­e del numero degli utenti e del traffico dati (e della sua qualità) su base territoria­le è l’unica strada per il nuovo fisco digitale. Escludendo l’ipotesi, almeno nel breve termine, di una bit tax, sia per ragioni politiche, sia di enforcemen­t, prospettiv­e interessan­ti presenta la strada dell’introduzio­ne di misuratori/contatori digitali, che permettano il rilevament­o del numero di utenti, la natura, l’intensità e la durata dei contatti – questi sono i parametri decisivi che determinan­o i ricavi dei grandi operatori web. Naturalmen­te deve esserci la collaboraz­ione delle infrastrut­ture nazionali proprietar­ie della rete. La rotta è impervia ma non ci sono alternativ­e per evitare la scomparsa delle basi imponibili; e quindi la reazione dura e unilateral­e degli stati sovrani – come sta avvenendo negli ultimi due anni. In fin dei conti, una guerra fiscale non conviene a nessuno, nemmeno alle imprese digitali, ed è possibile trovare una soluzione soddisface­nte e condivisa.

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