Eni pronta a investire in Italia ventuno miliardi in quattro anni
Il crollo del prezzo del greggio ha costretto le major oil a cambiare repentinamente la propria strategia, ma l’Eni non ha scelto la strada(facile) dei tagli e ha puntato su «una trasformazione profonda», facendo leva sulle proprie competenze, tecnologie e risorse. Claudio Descalzi, numero uno di Eni, è partito da qui, dalla svolta messa in pista fin dal suo arrivo alla guida del gruppo, per illustrare ieri gli scenari dell’energia e i piani in Italia, dove l’azienda è pronta a investire 21 miliardi nei prossimi quattro anni dopo aver già messo in pista 15 miliardi dal 2014 al 2016.
Ad ascoltare il suo racconto, però, non c’erano questa volta analisti e addetti ai lavori, ma una rappresentanza di studenti e professori delle scuole superiori, delle università e dei master - nonché giovani provenienti dalla Scuola Mattei -, che con Eni hanno attivato vari percorsi, dall’apprendistato all’alternanza scuola-lavoro. E, in prima fila, accanto alla presidente Emma Marcegaglia, c’è un ospite d’eccezione, il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, il primo, nella storia del gruppo, a varcare le porte del quartier generale di San Donato Milanese e dei laboratori di ricerca di Bolgiano, che ieri il gruppo ha aperto alla stampa e ai ragazzi per ribadire altresì come l’impegno sulle risorse umane rimanga uno dei capisaldi dell’azienda. Non è un caso, quindi, che, dal 2009 al 2016, Eni abbia investito circa 1,5 miliardi di euro in ricerca, riuscendo così a sviluppare più di 300 tecnologie proprietarie e oltre 6mila brevetti, e si prepari a mettere sul piatto oltre 500 milioni nel prossimo quadriennio, puntellando ulteriormente la già solida collaborazione con le università italiane e centri internazionali, come il Mit.
Un ruolo importante, dunque, per il paese, che Gentiloni non ha mancato di rimarcare dopo aver sottolineato «l’incredibile storia di successo» del gruppo. «L’Eni - ha spiegato il primo ministro - è stata uno dei motori della trasformazione che ha investito l’Italia del dopoguerra e che ci ha consentito di diventare una delle principali economie del mondo e resta tuttora motore del paese dal punto di vista degli interessi strategici, geopolitici, di sicurezza e della nostra strategia energetica», appena sfornata dal Governo, come ha ricordato lo stesso premier, e su cui è imperniata la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, cruciale per il futuro energetico dell’Italia e dell’Europa.
Una sfida che Eni vuole giocare in prima linea fornendo il suo contributo e portando a termine quella trasformazione che ha riguardato tutti i business, dall’upstream fino alla raffinazione e alla chimica, dalle bonifiche alle rinnovabili. Con un impegno, su quest’ultimo fronte, che Eni ha dispiegato su 15 progetti distribuiti nel Mezzogiorno, di cui sei già approvati («i primi entreranno in funzione tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018», ha ricordato Descalzi), con l’obiettivo di migliorare l’efficienza energetica, traguardando 220 megawatt di energia entro il 2020.
Ma l’Eni in Italia vuol dire anche Val D’Agri e l’ad non si è sottratto alle domande assai puntuali degli studenti. «Hanno cominciato ad accusare l’Eni per la contaminazione del Pertusillo prima ancora che entrasse in produzione - ha replicato il numero uno -. In Val d'Agri ci sono affioramenti superficiali di oli, fontanelle fin dai tempi dei romani. Tutto quel che succede è colpa nostra, siamo gli unici che ci lavorano, lo accettiamo, ma la disinformazione non possiamo accettarla e la rete che dice che siamo assassini e mostri. Il Pertusillo non è inquinato da noi». Quanto poi al centro Oli di Viggiano, «da controlli effettuati non da noi - ha chiosato il ceo -, le acque esterne non sono contaminate, lo sono quelle interne e stiamo lavorando con Arpa, Regione e Ispra», per la loro bonifica».
NEL MEZZOGIORNO I progetti green sono quindici di cui sei approvati Descalzi: in Val d’Agri affioramenti naturali di oli, non siamo noi a inquinare