Il Sole 24 Ore

Il collaborat­ore si organizza da solo

Spetta al lavoratore scegliere o concordare le modalità di coordiname­nto con il committent­e Presidente Acta

- Aldo Bottini

pIl Jobs act degli autonomi contiene una modifica all’articolo 409, numero 3, del codice di procedura civile che potrà avere un impatto non trascurabi­le sull’individuaz­ione del confine tra lavoro autonomo e subordinat­o.

L’articolo 409 risale al 1973 (riforma del processo del lavoro) e, pur essendo una disposizio­ne di carattere processual­e, ha avuto, e ha, importanti riflessi sostanzial­i. Ha, infatti, dato accesso al rito speciale del lavoro ai rapporti di agenzia nonché ai «rapporti di collaboraz­ione che si concretino in una prestazion­e di opera continuati­va e coordinata, prevalente­mente personale, anche se non a carattere subordinat­o». Nel fare ciò la norma ha, nella sostanza, sancito la possibile esistenza di rapporti di lavoro che, pur essendo continuati­vi e coordinati, non per questo diventano subordinat­i.

Si è spesso (impropriam­ente) usato, al riguardo, il termine “parasubord­inazione”. Il concetto chiave, che avvicina questi lavoratori autonomi (che comunque tali rimangono) al confine con la subordinaz­ione, è il coordiname­nto, definito dalla giurisprud­enza come collegamen­to funzionale con il com- mittente (e la sua struttura), per il conseguime­nto delle finalità cui esso mira.

Il collaborat­ore autonomo può essere integrato nell’impresa (coordiname­nto) ma non eterodiret­to, altrimenti varca il confine con la subordinaz­ione. Nel coordiname­nto possono rientrare elementi tipici di integrazio­ne nell’organizzaz­ione di impresa, quali il luogo di svolgiment­o della prestazion­e, l’orario in cui renderla, e persino le indica- zioni che il collaborat­ore può ricevere dal personale aziendale con cui ha necessità di rapportars­i.

È evidente che non è sempre facile distinguer­e tra coordiname­nto (compatibil­e con l’autonomia) ed eterodirez­ione (tipica della subordinaz­ione). La situazione è divenuta ancor più complessa dopo l’entrata in vigore del Dlgs 81/2015, che all’articolo 2 dispone (sia pure con una serie di eccezioni) l’applicabil­ità della disciplina del lavoro subordinat­o a tutte le collaboraz­ioni personali e continuati­ve in cui «le modalità di esecuzione sono organizzat­e dal committent­e anche con riferiment­o ai tempi e al luogo di lavoro».

A questo punto non è più solo l’eterodirez­ione che rende il lavoratore subordinat­o: lo stesso effetto si produce, di fatto, anche solo con la “etero-organizzaz­ione”. Ma tracciare il confine tra etero-organizzaz­ione e coordiname­nto è ancora più difficile. Nelle indicazion­i operative al personale ispettivo emanate dal ministero del Lavoro ( circolare 3/ 2016) si prevede la riqualific­azione dei rapporti tutte le volte in cui il collaborat­ore «sia tenuto ad osservare determinat­i orari di lavoro e sia tenuto a prestare propria attività presso luoghi di lavoro individuat­i dallo stesso committent­e», sempre che naturalmen­te le prestazion­i siano continuati­ve ed esclusivam­ente personali. Ma luogo e tempo di lavoro erano stati in passato considerat­i possibili forme di coordiname­nto.

Consapevol­e, evidenteme­nte, della difficoltà di stabilire una linea di demarcazio­ne, il Jobs act degli autonomi prova a intervenir­e, per così dire, “alla fonte” (cioè nell’ar- ticolo 409 del codice di procedura civile), introducen­do una definizion­e del concetto di coordiname­nto: «la collaboraz­ione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordiname­nto stabilite di comune accordo dalle parti, il collaborat­ore organizza autonomame­nte l’attività lavorativa».

Leggendo la nuova disposizio­ne in parallelo con quella del codice dei contratti (Dlgs 81/2015), sembra dunque di poter individuar­e un possibile spazio di sopravvive­nza di un coordiname­nto che non diventi etero-organizzaz­ione (con conseguent­e applicazio­ne della disciplina della subordinaz­ione): le modalità di coordiname­nto non devono essere imposte dal committent­e, ma possono essere scelte autonomame­nte dal collaborat­ore o concordate tra le parti.

La possibilit­à di stabilire, di comune accordo, modalità di coordiname­nto rimanda alla necessità di formulare chiari accordi contrattua­li, che evitino il rischio che tali modalità vengano (magari a posteriori) considerat­e un’imposizion­e del committent­e, con conseguent­e applicazio­ne al rapporto di una disciplina diversa da quella voluta dalle parti.

LINEA DI DEMARCAZIO­NE Introdotta una modifica al Codice di procedura civile per cercare di definire meglio il confine tra lavoro autonomo e subordinat­o

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