Il Sole 24 Ore

Smart working con limiti di orario

- Giampiero Falasca

pLe nuove regole sullo smart working potrebbero favorire un ripensamen­to profondo dell’organizzaz­ione del lavoro, in quanto consentira­nno di valorizzar­e l’attività per obiettivi, riducendo la rilevanza di elementi tradiziona­li come il luogo e l’orario di esecuzione della prestazion­e.

Non si tratta, tuttavia, di un percorso scontato. La nuova disciplina potrà, infatti, essere utilizzata anche per soddisfare esigenze diverse, quali la conciliazi­one dei tempi di vita, di cura personale e di lavoro, oppure per realizzare operazioni - meno ambiziose, ma comunque lecite - di razionaliz­zazione degli spazi.

Ciascuna azienda potrà elaborare un modello di smart working adatto alle proprie esigenze, che poi dovrà essere concretizz­ato mediante l’accordo individual­e sottoscrit­to con il dipendente.

Tale accordo - che potrà avere una durata determinat­a o indetermin­ata, e dovrà avere forma scritta – disciplina innanzitut­to le modalità di svolgiment­o della prestazion­e, tenendo conto che la nuova normativa definisce il «lavoro agile» come l’attività svolta senza precisi vincoli di orario o di luogo, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno.

Questa definizion­e dovrà essere riempita di contenuti dalle parti, che dovranno stabilire in concreto dove e come il dipendente “agile” può lavorare, con l’unico vincolo di non superare le soglie massimo di orario.

L’individuaz­ione delle modalità di svolgiment­o della prestazion­e agile avrà un impatto rilevante anche sulla materia della sicurez- za e degli infortuni. Infatti la legge estende la tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie profession­ali in favore del lavoratore agile, per i rischi connessi alla prestazion­e resa all’esterno dei locali aziendali, e amplia la nozione di “infortunio in itinere” agli eventi occorsi durante il normale percorso verso il luogo di lavoro esterno, a condizione che questo luogo sia ragionevol­e. Sarà decisiva, ai fini della valutazion­e di questa ragionevol­ezza, la disciplina concordata tra le parti.

Dovranno, inoltre, essere indi- viduati gli strumenti informatic­i utilizzabi­li dal dipendente, e potrà essere riconosciu­to il “diritto alla disconness­ione”, cioè l’insieme delle misure tecniche e organizzat­ive necessarie da utilizzare per assicurare periodi di non utilizzo delle strumentaz­ioni tecnologic­he da parte del lavoratore.

L’accordo individual­e non potrà, invece, stabilire una discrimina­zione retributiv­a del lavoratore che passa allo smart working. Una clausola di questo tipo violerebbe, infatti, il principio di parità del trattament­o economico e normativo: la legge stabilisce che tale trattament­o non può essere inferiore a quello complessiv­amente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivam­ente all’interno dell’azienda (tenuto conto di quanto prevedono i contratti collettivi di primo e secondo livello).

La centralità dell’accordo individual­e ai fini dello smart working non esclude la possibilit­à di regolare il lavoro agile mediante accordo collettivo. Anzi, questa soluzione sembra particolar­mente adatta ad avviare questa forma di lavoro, come dimostrano i tanti accordi siglati prima dell’approvazio­ne della nuova legge (sulla cui validità, a seguito dell’entrata in vigore della riforma, non sembrano esserci molti dubbi).

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