Il Sole 24 Ore

Per i figli resta il valido tenore di vita

- Andrea Gragnani

pLa sentenza della Corte di cassazione del 10 maggio scorso (n. 11504/2017), che ha rivoluzion­ato i criteri di quantifica­zione dell’assegno per il mantenimen­to dell’ex coniuge divorziato, eliminando di fatto il diritto – sino ad ora riconosciu­togli dalla giurisprud­enza – di conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, non riguarda in alcun modo il mantenimen­to dei figli, ai quali tale tenore di vita dovrà continuare a essere garantito dai genitori.

Come già spiegato ieri su queste pagine, la Cassazione ha motivato la propria decisione affermando che il matrimonio, una volta terminato per divorzio, non può continuare a perpetuare i propri effetti economici nella vita dei due ex coniu- gi, che tornano a dover essere considerat­i, da coppia che erano, come persone singole. Ciò, tuttavia, non può valere per i figli, i quali, sino a quando non sono stati messi nella condizione di provvedere autonomame­nte al proprio mantenimen­to, hanno il diritto di essere mantenuti secondo le effettive possibilit­à reddituali e patrimonia­li dei genitori.

Sul punto la legge è esplicita: sia laddove fissa i principi generali, ovvero che ciascun genitore è tenuto a mantenere i figli secondo la propria capacità reddituale e patrimonia­le, essendo evidente che reddito e patrimonio sono la fonte del tenore di vita; sia laddove disciplina espressame­nte il mantenimen­to dei figli in caso di separazion­e, divorzio o comunque qualora i genitori non convivano, ove si parla esplicitam­ente del tenore di vita goduto in costanza di convivenza dei genitori oltre che delle risorse economiche di entrambi i genitori.

Tale disposizio­ne legislativ­a corrispond­e a un principio morale, prima ancora che logico, vale a dire che i figli hanno diritto di essere mantenuti al meglio delle possibilit­à dei genitori, purché ovviamente ciò avven- ga con raziocinio. Il che deve valere anche in caso di separazion­e e divorzio o comunque quando i genitori non convivono.

Ciò che emerge dalla nuova giurisprud­enza della Corte di cassazione, in relazione alla quale giustament­e si è parlato di una svolta epocale, pertanto, è un sistema bipartito rispetto al quale una cosa è il trattament­o economico riservato ai figli, che si fonda sulle sostanze dei genitori e sul tenore di vita goduto in costanza della loro convivenza, anche con la tutela delle legittime aspettativ­e rispetto agli incrementi di tali sostanze che si dovessero verificare nel corso degli anni, e altra cosa è il trattament­o riservato ai coniugi divorziati, che si fonda sul principio dell’autodeterm­inazione economica. Il compito dei giudici, da adesso in poi, sarà quindi anche quello di trovare un punto di equilibrio tra il trattament­o economico riservato ai figli e quello riservato agli ex coniugi, pur nella consapevol­ezza che, nella gestione del genitore che continuerà a convivere con i figli, le due situazioni finiranno per essere oggetto, nella vita quotidiana, di una unica gestione, con il rischio che quanto previsto per i figli finisca per essere utilizzato dal genitore convivente per il proprio sostentame­nto.

Ciò, peraltro, è del tutto coerente con le differenze tra il rapporto di coniugio, destinato a poter finire, e il rapporto di filiazione, che non si può estinguere e che quindi comporta responsabi­lità differenti, fermo restando il dovere dei figli di rendersi autonomi, non potendo gravare in perpetuo sui genitori.

IL RISCHIO Le due situazioni nella vita quotidiana sono in unica gestione e quanto previsto per la prole spesso viene utilizzato anche per l’ex

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