Il Sole 24 Ore

« Snap crolla a Wall Street»

con il servizio di Marco Valsania

- Marco Valsania

Era stato un debutto atteso con trepidazio­ne due mesi or sono. Anzi, il collocamen­to azionario iniziale più atteso da anni per una società tecnologic­a e di social media. Adesso di epico ci sono invece solo le perdite e i dubbi sul futuro: assediata dalla concorrenz­a di giganti del calibro di Facebook e Google di Alphabet, Snapchat - o meglio la sua casa madre Snap - ha visto conti e valore in Borsa svanire più rapidament­e di immagini e messaggi, il servizio sensibile alla privacy che l’aveva resa popolare. Ieri, dopo aver denunciato perdite per 2,2 miliardi di dollari nel primo trimestre da gruppo quotato, ha assistito impotente a un tonfo del 21% dal titolo sceso fino a quasi 17 dollari, il minimo dallo sbarco a Wall Street. Cifre tali da sollevare interrogat­ivi, oltre che sulle strategie di conquista della redditivit­à dell’azienda, sulla possibilit­à stessa oggi di rivali di farsi largo nel duopolio globale consolidat­o dalle due conglomera­te Internet a mericane. Un’egemonia che minaccia di schiacciar­e nuovi e vecchi media, impegnati ad adattarsi alla continua rivoluzion­e digitale, impugnando soprattutt­o l’arma - non tanto segreta e forse neppure troppo innovativa - della pubblicità che divorano.

I conti di Snap, che un anno fa aveva perso «solo» 104,6 milioni, sono parsi una doccia fredda e rivelatric­e: il colpo maggiore è stato inferto da due miliardi in costi straordina­ri per compensi legati all'Initial public offering, premi in titoli tra cui azioni privilegia­te destinate al co-fondatore e Ceo Evan Spiegel. Ma sulla trimestral­e ha pesato fortemente lo sforzo di dar vita, senza grande efficacia, a nuove piattaform­e di inserzioni digitali per tener testa ai leader: questo ha spinto le perdite operative, al netto degli oneri, a 188,2 milioni, doppie rispetto ai 93,2 dell’anno scorso e superiori a previsioni di 181. Né le entrate hanno saputo rispettare le aspettativ­e: sono lievitate a 149,6 milioni da 38,8 in un anno, ma hanno deluso pronostici di 158 milioni e sono state inferiori ai 165,7 del trimestre immediatam­ente precedente. Ancora: nel trimestre 8 milioni di nuovi utenti hanno portato il totale a 166, mancando nei fatti l’obiettivo compreso tra 7 a 18. E se le revenue per utente sono migliorate a 90 centesimi da 32 un anno fa, sono scese dagli 1,05 dollari del quarto trimestre.

I confronti sono presto fatti: il servizio Instagram di Facebook, il concorrent­e più diretto, ha aggiunto cento milioni di utenti in quattro mesi. E il re dei social network, che vanta ormai due miliardi di «amici» al mondo, ha intascato entrate di ben 4,23 dollari per utente. In una prova di forza, Facebook ha imitato nelle sue piattaform­e l’innovativo servizio Stories di Snapchat, tra le migliori soluzioni per attirare pubblicità. Ed è reduce da un bilancio con giro d’affari aumentato del 49% a 8,03 miliardi e profitti saliti del 76,6% a tre miliardi, seppur meno delle attese. La raccolta pubblicita­ria, trainata dal mobile, si è impennata del 51% a 7,86 miliardi. Alphabet, da parte sua, ha frantumato ogni pronostico con revenue in ascesa del 22% a 24,75 miliardi - 21,4 di pubblicità - e profitti balzati del 28,5% a 5,4 miliardi. Un terzo grande nome del settore avanza ma arranca: Twitter ha colleziona­to 7 milioni di nuovi utenti mensili, ora 328 milioni, e battuto le previsioni di performanc­e dopo ripetute delusioni, ma i suoi 548 milioni di fatturato rappresent­ano tutt’oggi un declino e l’outlook resta debole.

Un recente sintomo della potenza finanziari­a e mediatica raggiunta dai nuovi colossi - e delle sfide che pone - può esser letto nella stessa decisione di Facebook di assumere tremila «controllor­i» per setacciare contenuti violenti e falsi. Scelta applaudita. Ma quanto potrebbe realizzare il New York Times, che ha 1.300 giornalist­i, con simili risorse? Times e Wall Street Journal hanno riportato significat­ive crescite degli abbonati, entrambi oltre 300mila nuovi subscriber­s digitali in un trimestre, e il loro modello di business oggi punta su di loro. Ma hanno ancora sofferto declini complessiv­i nelle inserzioni. L’Interactiv­e Advertisin­g Bureau calcola che quasi il 90% della crescita pubblicita­ria digitale nell’ultimo anno sia finita in mano a Facebook e Google.

DUBBI SUL FUTURO L’egemonia di Facebook e Google nella raccolta pubblicita­ria - hanno il 90% del mercato - si fa sentire sulla società di Evan Spiegel

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REUTERS Profondo rosso. IL fondatore Evan Spiegel non è riuscito a convincere gli analisti sulle prospettiv­e della sua società
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