La Francia (con l’Italia) ora prema su Berlino
Il nuovo Presidente francese – con governo e parlamento pur essi nuovi – è chiamato ad andar oltre la retorica combinazione di nazionalismo ed europeismo che, solo in Francia, fa vincere le elezioni. Al di là delle parole, della passeggiata al Louvre, della iconografia familiare ha di fronte a sé un serio dilemma concernente l'economia. Almeno otto indicatori lo confermano: e Il Pil francese, dopo aver ristagnato nel 2008-2014 ed essersi pigramente ripreso nel 2015-2016, allo stato è previsto progredire solo dell'1,5% l'anno nel 2017-2018: meno dell'Europa (1,7%), degli USA (2,5%), del Mondo (3,5%). r La produttività del lavoro, dopo aver anch'essa ristagnato in linea col Pil nel 2008-2016, è attesa lievitare meno dell'1% l'anno nel 2017-2018. tL a dinamica congiunta del prodotto e della produttività che si prospetta non consente di dare per scontato nel biennio un tasso di disoccupazione inferiore al 10%, livello su cui il rigido mercato del lavoro francese è da tempo attestato. u La domanda interna eccedendo la produzione, il Paese vive da anni al disopra dei propri mezzi. Il deficit di parte corrente della bilancia dei pagamenti è strutturale, nelle previsioni ancora superiore al 2% del Pil. Vi corrisponde una posizione debitoria netta verso l'estero tendente al 20% del Pil, che stride rispetto a quella creditoria della Germania, tendente al 60% del Pil i La pressione tributaria (53% del Pil) è fra le più onerose e distorsive al mondo (45% la media europea, 37% il Giappone, 33% gli USA), mentre non si apprezzano tendenze al suo contenimento. o Nonostante ciò il gettito non copre una spesa della PA (56% del Pil) pur essa abnorme tanto in assoluto quanto nel confronto internazionale (media UE 46%, 42% il Giappone, 38% gli USA). p Ne discende un indebitamento netto nel bilancio della PA ai limiti del 3% del Pil, dopo che la fatidica soglia è stata spesso ecceduta in passato. a Di conseguenza il debito pubblico negli anni Duemila è salito senza soluzione di continuità: dal 60% sin quasi al 100% del Pil, livello superiore alla media europea (85%) e di poco meno di 40 punti a quello tedesco.
La conclusione è che se la Francia di Macron, appiattendosi sulla Germania, sarà “austera” per risanare le pubbliche finanze e i conti con l’estero sopporterà costi ancor più pesanti in termini di reddito e di occupazione. Se non lo sa- rà entrerà in aperta collisione con i parametri europei di bilancio e debito, come pure con la percezione dei rischi nel mercato finanziario interno e internazionale.
Altro che rinnovato asse franco-tedesco! Non v’è alternativa. Fermo restando l’euro – ottima moneta! – la Francia deve, con l’Italia e con altre nazioni dell’Eu- roarea, premere sulla Germania affinchè essa abbandoni il suo neo-mercantilismo economico e politico, cresca più rapidamente, funga da “locomotiva” d’Europa, consenta a se stessa e agli altri Paesi di effettuare investimenti pubblici in infrastrutture: i soli capaci di sostenere, insieme, produttività, competitività, domanda globale eventualmente applicando una – rigorosa – golden rule europea.