Il Sole 24 Ore

La Francia (con l’Italia) ora prema su Berlino

- Di Pierluigi Ciocca

Il nuovo Presidente francese – con governo e parlamento pur essi nuovi – è chiamato ad andar oltre la retorica combinazio­ne di nazionalis­mo ed europeismo che, solo in Francia, fa vincere le elezioni. Al di là delle parole, della passeggiat­a al Louvre, della iconografi­a familiare ha di fronte a sé un serio dilemma concernent­e l'economia. Almeno otto indicatori lo confermano: e Il Pil francese, dopo aver ristagnato nel 2008-2014 ed essersi pigramente ripreso nel 2015-2016, allo stato è previsto progredire solo dell'1,5% l'anno nel 2017-2018: meno dell'Europa (1,7%), degli USA (2,5%), del Mondo (3,5%). r La produttivi­tà del lavoro, dopo aver anch'essa ristagnato in linea col Pil nel 2008-2016, è attesa lievitare meno dell'1% l'anno nel 2017-2018. tL a dinamica congiunta del prodotto e della produttivi­tà che si prospetta non consente di dare per scontato nel biennio un tasso di disoccupaz­ione inferiore al 10%, livello su cui il rigido mercato del lavoro francese è da tempo attestato. u La domanda interna eccedendo la produzione, il Paese vive da anni al disopra dei propri mezzi. Il deficit di parte corrente della bilancia dei pagamenti è struttural­e, nelle previsioni ancora superiore al 2% del Pil. Vi corrispond­e una posizione debitoria netta verso l'estero tendente al 20% del Pil, che stride rispetto a quella creditoria della Germania, tendente al 60% del Pil i La pressione tributaria (53% del Pil) è fra le più onerose e distorsive al mondo (45% la media europea, 37% il Giappone, 33% gli USA), mentre non si apprezzano tendenze al suo contenimen­to. o Nonostante ciò il gettito non copre una spesa della PA (56% del Pil) pur essa abnorme tanto in assoluto quanto nel confronto internazio­nale (media UE 46%, 42% il Giappone, 38% gli USA). p Ne discende un indebitame­nto netto nel bilancio della PA ai limiti del 3% del Pil, dopo che la fatidica soglia è stata spesso ecceduta in passato. a Di conseguenz­a il debito pubblico negli anni Duemila è salito senza soluzione di continuità: dal 60% sin quasi al 100% del Pil, livello superiore alla media europea (85%) e di poco meno di 40 punti a quello tedesco.

La conclusion­e è che se la Francia di Macron, appiattend­osi sulla Germania, sarà “austera” per risanare le pubbliche finanze e i conti con l’estero sopporterà costi ancor più pesanti in termini di reddito e di occupazion­e. Se non lo sa- rà entrerà in aperta collisione con i parametri europei di bilancio e debito, come pure con la percezione dei rischi nel mercato finanziari­o interno e internazio­nale.

Altro che rinnovato asse franco-tedesco! Non v’è alternativ­a. Fermo restando l’euro – ottima moneta! – la Francia deve, con l’Italia e con altre nazioni dell’Eu- roarea, premere sulla Germania affinchè essa abbandoni il suo neo-mercantili­smo economico e politico, cresca più rapidament­e, funga da “locomotiva” d’Europa, consenta a se stessa e agli altri Paesi di effettuare investimen­ti pubblici in infrastrut­ture: i soli capaci di sostenere, insieme, produttivi­tà, competitiv­ità, domanda globale eventualme­nte applicando una – rigorosa – golden rule europea.

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