«Trump finirà per danneggiare i suoi elettori»
Il voto per Donald Trump riflette il malessere dei bianchi a basso reddito e bassa istruzione negli Stati Uniti, ma le risposte dell’amministrazione Trump non proteggeranno questi elettori, anzi rischiano di danneggiarli ulteriormente.
Angus Deaton, economista di Princeton, premio Nobel nel 2015, intervenuto ieri a Bari al simposio del G-7 su crescita e lotta alle disuguaglianze, mostra una carta degli Stati Uniti, dove le aree in cui prevalgono abuso di medicinali a base di oppiacei, alcolismo, suicidi fra la popolazione di razza bianca a bassa istruzione si sovrappongono alle contee in cui Trump ha raccolto più voti. «La sovrapposizione – spiega in un’intervista al Sole 24 Ore – non significa una correlazione in senso stretto, ma è chiaro che il voto esprime un malessere e al tempo stesso emerge una serie di disfunzioni in una parte dell’elettorato». Gli studi di Deaton insieme alla moglie, Anne Case, documentano fra l’altro l’epidemia di abuso di oppiacei in certe zone d’America, una sorta di “spaccio” perfettamente legale ma che arricchisce i produttori di certi farmaci a scapito della salute di una fascia della popolazione.
Trump, però, avendo incassato questi voti, ha presentato, fra campagna elettorale e avvio della presidenza, una serie di risposte che non risolveranno il problema, secondo Deaton. Una vena populista nella popolazione bianca di classe mediobassa, ricorda, c’è sempre stata, dai tempi di George Wallace negli anni 70, ma con Trump è la prima volta che va al potere. «In campagna elettorale sono state fatte molte promesse che non possono essere mantenute – dice l’economista – l’abolizione di Obamacare, per esempio, ha passato la Camera, ma non è detto che passi il Senato. Intanto, nell’amministrazione, fra l’ala populista, che sostiene di farsi portavoce delle istanze di questa parte della popolazione, e quella dei banchieri, è quest’ultima a prevalere. In America c’è un problema della sanità, per la quale spendiamo 3mila miliardi di dollari l’anno, il 18% del reddito nazionale. Un risparmio di un terzo, che ci portasse al livello del secondo Paese in questa classifica, libererebbe 8mila dollari per famiglia, che potrebbero essere spesi in altro modo. Per ora, questi problemi riguardanti la sanità non fanno che espandere le disuguaglianze».
Il nuovo presidente ha promesso anche di proteggere alcune categorie di lavoratori, come i minatori del carbone. «Non c’è nessuna politica che possa restituire il suo ruolo all’industria del carbone, e lo dico come nipote di un minatore – afferma Deaton, autore del best- seller “La grande fuga”, edito in Italia dal Mulino, sulla riduzione della povertà e il miglioramento delle condizioni di vita nel mondo – Con questi interventi non si salvano i lavoratori e al tempo stesso si danneggia l’ambiente per tutti. Ricordo, dai tempi di mio nonno in Scozia, che i minatori avevano una loro cultura e un grande spirito di corpo. Ma la nostalgia non può determinare le scelte politiche. Oggi i minatori devono essere riaddestrati per poter fare altri lavori». Come il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nel suo intervento al simposio, Deaton insiste molto sul
DEINDUSTRIALIZZAZIONE La popolazione bianca di classe medio-bassa sarà delusa dalle promesse: «Impossibile far tornare i minatori nelle miniere»
ruolo dell’istruzione e della formazione continua.
L’economista di Princeton è scettico anche sulla scelta degli Usa di minacciare misure protezionistiche. «Non si proteggono i lavoratori che si vorrebbero aiutare e si danneggiano invece tutti gli altri – sostiene – nell’attuale mondo interconnesso, nel quale le imprese lavorano con catene di produzione che valicano i confini nazionali, molti posti di lavoro negli Stati Uniti dipendono dalle importazioni».
Una delle grandi questioni per il prossimo futuro, secondo Deaton, è quello che succederà in Europa, dove non è detto che la sconfitta di Marine Le Pen alle presidenziali francesi, abbia fermato le tendenze populiste. «Finora l’Europa – dice – è rimasta esente da certe tendenze dell’America, ma spesso queste si affermano su questa sponda dell’Atlantico con un ritardo di 5-10 anni. Spero che non avvenga, ma è vero che molti problemi legati soprattutto alle disuguaglianze, cresciute all’interno dei singoli Paesi, non scompariranno se non affrontati con decisione». Dal G-7 di Bari è venuto almeno un segnale in questa direzione.