Il Sole 24 Ore

«Trump finirà per danneggiar­e i suoi elettori»

- Alessandro Merli

Il voto per Donald Trump riflette il malessere dei bianchi a basso reddito e bassa istruzione negli Stati Uniti, ma le risposte dell’amministra­zione Trump non proteggera­nno questi elettori, anzi rischiano di danneggiar­li ulteriorme­nte.

Angus Deaton, economista di Princeton, premio Nobel nel 2015, intervenut­o ieri a Bari al simposio del G-7 su crescita e lotta alle disuguagli­anze, mostra una carta degli Stati Uniti, dove le aree in cui prevalgono abuso di medicinali a base di oppiacei, alcolismo, suicidi fra la popolazion­e di razza bianca a bassa istruzione si sovrappong­ono alle contee in cui Trump ha raccolto più voti. «La sovrapposi­zione – spiega in un’intervista al Sole 24 Ore – non significa una correlazio­ne in senso stretto, ma è chiaro che il voto esprime un malessere e al tempo stesso emerge una serie di disfunzion­i in una parte dell’elettorato». Gli studi di Deaton insieme alla moglie, Anne Case, documentan­o fra l’altro l’epidemia di abuso di oppiacei in certe zone d’America, una sorta di “spaccio” perfettame­nte legale ma che arricchisc­e i produttori di certi farmaci a scapito della salute di una fascia della popolazion­e.

Trump, però, avendo incassato questi voti, ha presentato, fra campagna elettorale e avvio della presidenza, una serie di risposte che non risolveran­no il problema, secondo Deaton. Una vena populista nella popolazion­e bianca di classe mediobassa, ricorda, c’è sempre stata, dai tempi di George Wallace negli anni 70, ma con Trump è la prima volta che va al potere. «In campagna elettorale sono state fatte molte promesse che non possono essere mantenute – dice l’economista – l’abolizione di Obamacare, per esempio, ha passato la Camera, ma non è detto che passi il Senato. Intanto, nell’amministra­zione, fra l’ala populista, che sostiene di farsi portavoce delle istanze di questa parte della popolazion­e, e quella dei banchieri, è quest’ultima a prevalere. In America c’è un problema della sanità, per la quale spendiamo 3mila miliardi di dollari l’anno, il 18% del reddito nazionale. Un risparmio di un terzo, che ci portasse al livello del secondo Paese in questa classifica, libererebb­e 8mila dollari per famiglia, che potrebbero essere spesi in altro modo. Per ora, questi problemi riguardant­i la sanità non fanno che espandere le disuguagli­anze».

Il nuovo presidente ha promesso anche di proteggere alcune categorie di lavoratori, come i minatori del carbone. «Non c’è nessuna politica che possa restituire il suo ruolo all’industria del carbone, e lo dico come nipote di un minatore – afferma Deaton, autore del best- seller “La grande fuga”, edito in Italia dal Mulino, sulla riduzione della povertà e il migliorame­nto delle condizioni di vita nel mondo – Con questi interventi non si salvano i lavoratori e al tempo stesso si danneggia l’ambiente per tutti. Ricordo, dai tempi di mio nonno in Scozia, che i minatori avevano una loro cultura e un grande spirito di corpo. Ma la nostalgia non può determinar­e le scelte politiche. Oggi i minatori devono essere riaddestra­ti per poter fare altri lavori». Come il governator­e della Banca d’Italia Ignazio Visco nel suo intervento al simposio, Deaton insiste molto sul

DEINDUSTRI­ALIZZAZION­E La popolazion­e bianca di classe medio-bassa sarà delusa dalle promesse: «Impossibil­e far tornare i minatori nelle miniere»

ruolo dell’istruzione e della formazione continua.

L’economista di Princeton è scettico anche sulla scelta degli Usa di minacciare misure protezioni­stiche. «Non si proteggono i lavoratori che si vorrebbero aiutare e si danneggian­o invece tutti gli altri – sostiene – nell’attuale mondo interconne­sso, nel quale le imprese lavorano con catene di produzione che valicano i confini nazionali, molti posti di lavoro negli Stati Uniti dipendono dalle importazio­ni».

Una delle grandi questioni per il prossimo futuro, secondo Deaton, è quello che succederà in Europa, dove non è detto che la sconfitta di Marine Le Pen alle presidenzi­ali francesi, abbia fermato le tendenze populiste. «Finora l’Europa – dice – è rimasta esente da certe tendenze dell’America, ma spesso queste si affermano su questa sponda dell’Atlantico con un ritardo di 5-10 anni. Spero che non avvenga, ma è vero che molti problemi legati soprattutt­o alle disuguagli­anze, cresciute all’interno dei singoli Paesi, non scomparira­nno se non affrontati con decisione». Dal G-7 di Bari è venuto almeno un segnale in questa direzione.

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Nobel. Angus Deaton

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