Il populismo si «cura» anche in corsia
Dopo l’ Obamacare, gli States avranno il Trumpcare? Per ora, seppur con pochi voti di scarto, la Camera Usa ha approvato il testo che abroga la legge di riforma sanitaria voluta da Barak. Quanto è avvenuto in America impone una riflessione anche sullo “stato della sanità” italiana, vista dalla parte di chi, senza la presenza del pubblico, vedrebbe azzerate completamente le linee direttive contenute nei documenti dell’Unione Europea. Queste raccomandano infatti di «integrare, sostenere e aggiungere valore alle politiche del Welfare per migliorare la salute dei cittadini e ridurre le disuguaglianze in termini di salute […e] contribuire, specie nel contesto della crisi economica, a combattere le disuguaglianze in termini di salute e a promuovere l’equità e la solidarietà».
Qui si parte dalla convinzione che il mantenimento delle persone in buona salute favorisca un loro maggiore coinvolgi- mento nella società, generando effetti positivi sul Paese. Senza dire che la riduzione delle diseguaglianze in ambito sanitario consente di conseguire l’ambizioso obiettivo della “crescita inclusiva” di tutti i cittadini, contribuisce a combattere le discriminazioni e a spuntare le armi di montanti populismi. È vero che ai poveri è garantito l’accesso alle cure (solo alcune e solo erogate dal sistema sanitario pubblico) senza alcun pagamento di ticket, ma è pur vero che le spese per la salute sono diventate talmente onerose per le famiglie che basta un imprevisto per collocare la famiglia in fascia di povertà. È vero che in Italia ci sono molti esempi di sanità pubblica erogata a persone costrette alla mobilità, ma è anche vero che molti migranti e stranieri sono disorientati o disinformati delle opportunità per le cure che possono ricevere nel nostro Paese al punto da non usufruirne.
Sull’esempio (cattivo) dell’America, anche da noi c’è chi auspica una privatizzazione del sistema sanitario o almeno, di- cono altri, il restringere le fasce di popolazione che possano accedervi. Per fortuna vi sono altre e più diffuse sensibilità. C’è ancora tanta gente che ritiene un dovere assoluto dello Stato assicurare il trattamento sanitario a tutti. Non dico “a partire”, ma almeno “compresi” quanti sono all’ultimo posto nella scala sociale.
Il 47,1% dei residenti in Italia (fonte: Demoskopica) è “paziente mancato”: 2,4 milioni di italiani hanno dichiarato l’impossibilità a curare se stesso o qualche familiare perché «curarsi fuori costa troppo». E quando le spese sanitarie sono indispensabili, molte famiglie finiscono sotto la soglia di povertà. Lo svantaggio sanitario delle famiglie povere è eccessivamente marcato a livello regionale. Il differenziale Nord-Sud si registra in alcuni ambiti particolari. In Piemonte ogni anno sono 4.800 le famiglie che non possono permettersi cure in più ; mentre sono quasi 69mila in Sicilia. Un differenziale evidente si nota anche a proposito di screening mammografico e di altre campagne di prevenzione. Le Regioni del Sud continuano a essere al di sotto della media nazionale per tasso di copertura. La terapia del dolore al Nord si pratica nel 60% dei centri sanitari pubblici, al Sud solo nel 12%. Al Nord è più diffuso, rispetto al Sud, anche l’uso di farmaci innovativi per patologie rare.
Non serve sapere che il Sud arranca sempre più mentre al Nord il sistema sanitario funziona meglio. Saperlo significa avere chiaro che non si sta rispettando l’art. 32 della Costituzione. Si è scritto che «400mila anziani ogni anno devono andare all’estero per potersi curare» e che «la spesa sanitaria privata è in forte crescita dato che il Ssn non fornisce più il necessario». Questo e altro evidenzia come i cittadini in condizioni di svantaggio sociale tendono ad ammalarsi di più, a guarire di meno, a perdere autosufficienza, ad essere meno soddisfatti della propria salute e a morire prima. Man mano che si risale lungo la scala sociale questi stessi indicatori di salute migliorano, secondo la legge del gradiente sociale.
In questo contesto, mi permetto di condividere una storia della quale sono venuto a conoscenza mentre preparavo queste considerazioni. Una storia che dovrebbe essere in prima pagina e non in fondo ad uno scritto. È la storia di Grazia. Una donna del Sud. Una donna che ha fatto del suo nome lo stile della sua vita. Portatrice di grazia ed energia in famiglia, espressione di grazia quando da ragazza frequentava la scuola di un paesino di provincia del Sud Italia. Una donna, generosa e umile, figlia di contadini con un codice del rispetto invidiabile ai più, che sapeva coniugare partecipazione gioiosa alla vita degli altri e discrezione. Una donna di cui si parla al passato perché un tumore, nel giro di poco più di un mese l’ha tolta ai tre figli e al marito. E a tutti noi.
Forse una storia di povertà sanitaria, di mancata prevenzione, di mancato accesso alle informazioni relative alla prevenzione. Forse una morte evitabile. Sicuramente una mancanza che lascia infiniti spazi vuoti dentro coloro che l’hanno conosciuta e apprezzata fino alla fine, ma soprattutto che lascia tanti interrogativi a quanti, dovendolo, si mostrano incapaci di farsi carico della “buona” salute dei cittadini. Soprattutto dei “buoni” cittadini. Quelli indifesi e fiduciosi, rispettosi e incapaci di difendersi da soli perché incapaci di pensare che qualcuno o qualcosa (come una malattia) possa attaccarli. Come Grazia.