L’emirato più dinamico tradito dalla geopolitica
e mi chiede perché impegno così tanto il mio piccolo Paese, è perché il Qatar che stiamo creando non può svilupparsi in una regione di dittature e depressione economica. La via d’uscita è riformare il nostro mondo». Al ristorante Damasceno – il suo preferito – nel vecchio suk di Doha che lui aveva ricostruito, Hamad bin Khalifa al Thani cercava di spiegare la sua angst. Le volute di fumo non venivano da un narghilè ma dal suo sigaro preferito, un Cohiba Lancero, lo stesso che amava Fidel.
«Stiamo lavorando bene. I miei a palazzo mi dicono che se oggi smettessimo di produrre gas e chiudessimo il fondo sovrano, il Qatar resterebbe ricco per altri 70 anni». Se non avesse fatto qualcosa, dunque, per lui sarebbe stato come buttare al vento l’immensa ricchezza creata in pochi anni, da quando era diventato emiro, shakespearianamente esautorando il padre nel 1995. Sua moglie, Sheikha Mozah, la prima e per ora unica first lady del Golfo, ascoltava perplessa, seduta accanto a lui. Era la primavera del 2013 e fu l’ultimo dei nostri incontri nell’arco di molti anni. Tre mesi dopo la nostra cena, inaspettatamente abdicò in favore del figlio Tamim. L’emiro Hamad aveva fatto molto, probabilmente troppo, commettendo alcuni errori fatali. Voleva essere il grande riformatore del Medio Oriente, invece sarebbe diventato uno dei responsabili del grande caos: non il solo, uno dei meno colpevoli ma comunque corresponsabile.
Furono i sauditi, i cugini wahabiti (quello del Qatar è un wahabismo molto più tollerante) a premere per il ricambio. Con il generale al Sisi, stavano organizzando al Cairo il golpe per abbattere il governo dei Fratelli musulmani che il Qatar appoggiava entusiasticamente. Dissero ad al-Thani che sarebbe stato meglio abdicare prima del golpe che essere costretto a farlo dopo, sull’onda di un fallimento che avrebbe destabilizzato il Qatar.
Hamad al Thani aveva puntato sui Fratelli musulmani, capaci secondo lui, di rappresentare quell’Islam politico moderato che avrebbe cambiato la regione, sostituendosi alla minaccia estremista. Il golpe laico in Egitto ha impedito di verificare le sue convinzioni: in Tunisia la fratellanza è promotrice di democrazia, in Turchia no. Ma l’emiro del Qatar aveva fatto un’altra scelta in Siria, quella provatamente sbagliata: «deluso e tradito» da Bashar Assad, al Thani aveva finanziato e armato i qaidisti di Jabat al Nusra. Si era convinto che fossero necessari per abbattere il regime di Damasco e che poi si sarebbero fatti da parte a beneficio delle opposizioni più moderate. Anche i sauditi fecero gli stessi errori con l’Isis – i turchi anche peggio – ma la grande
L’ERRORE DI VALUTAZIONE Hamad ha cambiato il volto del Paese, ma il suo successo lo ha illuso di poter giocare la partita delle primavere arabe allo stesso tavolo dei big regionali
Arabia Saudita non era il piccolo Qatar e alla fine la gravitas conta.
Questo fu il vero errore dell’emiro che in un quindicennio aveva trasformato una penisola desertica nell’emirato più dinamico della regione: arrivando a Doha era facile cogliere il dinamismo che mancava al resto del Medio Oriente. Fino allo scoppio delle primavere arabe il Qatar era stato capace di diventare il negoziatore di tutti i conflitti: sciiti e sunniti, israeliani e palestinesi, Hamas e Fatah, libanesi e siriani, talebani e governo di Kabul. Poi, improvvisamente l’emirato si buttò nella lotta impegnandosi in una geopolitica che non poteva sostenere. Le primavere e le guerre civili che per l’emiro al Thani dovevano essere l’occasione del grande cambiamento, lo avevano invece messo nell’elenco delle vittime. Suo figlio Tamim ora sta governando con lo stesso orgoglio ma con molta, molta più cautela.