Il Sole 24 Ore

Scalate sì, ma con prudenza

Il fondo sovrano del Qatar investe all’estero, ma i ministeri tagliano i costi

- Di Ugo Tramballi

li analisti cercavano una logica, noi avevamo una visione», spiegava il ministro del Petrolio Mohammed al Sada per raccontare l’epica del gas liquefatto. Perché il Gnl è narrativa fondante del Qatar, come la rivoluzion­e industrial­e per gli inglesi e la conquista del West per gli americani. Negli anni ’80 fu il giovane ministro dell’Energia di allora, Hamad al Thani, a capire che per svegliare il sonnolento emirato bisognava estrarre il gas e liquefarlo per venderlo al mondo intero.

Quel giovane ministro che non trovava creditori interessat­i al suo progetto, sarebbe diventato emiro, avrebbe cambiato il volto del Qatar e creando il suo fondo sovrano, alcune di quelle banche così avare se le sarebbe anche comprate. Senza l’epica del Gnl non ci sarebbe stato la Qatar Investment Authority, o Qia, il fondo sovrano che ora sta tentando la scalata della Deutsche Bank dopo aver già acquisito in Germania il 17% di Volkswagen. L’anno scorso il nono nel mondo ma il primo “procapite” (i qatarini sono poco più di 300mila, 2,3 milioni con gli espatriati), il fondo sovrano possiede asset per 330 miliardi di dollari. In attesa di vedere di quanto potrà aumentare la sua presenza nella banca tedesca, nei primi mesi di quest’anno ha già comprato quote nella principale azienda produttric­e di pollame della Turchia, in Rosneft e nella compagnia britannica del gas National Grid.

Pensando ai tentativi di sopravvive­nza di Alitalia, fa tristezza arrivare nel nuovo aero- porto internazio­nale Hamad – costato 17 miliardi – gestito da Qatar Airways che appartiene a Qia la quale investe ai quattro angoli della Terra, patria compresa: ha anche il controllo di Qatar National Bank. Qatar Airways che fra le tante compagnie delle quali possiede quote c’è anche Meridiana, l’anno prossimo aprirà la destinazio­ne per San Francisco: la quindicesi­ma solo negli Stati Uniti.

Di un fondo sovrano che ha “diversific­are” come mantra, è difficile fare la mappa in poche righe. Valentino, Tiffany, Agricoltur­al bank of China, Barclays, Glencore, investimen­ti immobiliar­i a Chelsea Barracks e Canary Wharf a Londra e al Garibaldi a Milano. All’inizio del 2016 Qia aveva anche iniziato un impegno quinquenna­le da 35 miliardi di dollari per entrare nell’immobiliar­e americano: la decisione era stata presa prima che un developer di New York diventasse presidente degli Stati Uniti. L’emiro Hamad al Thani, che nel 2013 ha abdicato in favore del figlio Tamim, era anche un tifoso del Milan. Su sua indicazion­e, una decina d’anni fa Qatar Sport Investment­s, la branca sportiva di Qia, si era fatto avanti per verificare le opportunit­à d’acquisto della squadra. Silvio Berlusconi allora non vendeva. Alcuni anni dopo, quando il presidente rossonero ha cambiato idea, al Thani aveva già comprato il Paris Saint-Germain.

Come già detto, tutto ha origine nel gas naturale liquido, il brodo di coltura dell’emirato che ne garantisce il 70% del reddito nazionale. Il Qatar è il terzo produttore mondiale di gas, ma il primo esportator­e di Gnl: 77 milioni di tonnellate, due volte i consumi italiani di un anno, il 30% della produzione mondiale. Dopo averlo tenuto chiuso per 12 anni, come fosse un rigoglioso terreno agricolo custodito per il futuro, Qatar petroleum ha deciso di sfruttare la parte meridional­e quasi vergine di North Field, il grande giacimento offshore. Una volta sviluppato garantirà due miliardi di piedi cubi al giorno, l’equivalent­e di 400mila barili di petrolio, e aumenterà del 10% la produzione totale del Qatar.

Per quanto possa sembrare a questo punto impossibil­e, anche nel Paese della bo-

Gli investimen­ti della famiglia reale del Qatar vanno oltre gli immobili e le banche. Da anni, lo sport, e più in particolar­e il calcio, è territorio di conquista. Ci sono solo la proprietà del Paris Saint Germain e la sponsorizz­azione del Barcellona, ma anche tutta una serie di attività a sostegno dello sport utilizzato come veicolo per far conoscere il Paese, per attrarre turisti, per ampliare l’influenza dell’emiro. Negli ultimi anni il Qatar ha ospitato il Mondiale di ciclismo, quello di pallamano, tappe di coppa del mondo di scherma. E il Paese si prepara al Mondiale di calcio del 2022 che, nelle intenzioni dell’emiro, sarà la vetrina che farà conoscere ovunque il Qatar. Investimen­ti per miliardi in infrastrut­ture e anche per costruire una squadra in un Paese che non ha alcuna tradizione. Da mesi, il Qatar fa offerte da capogiro a giocatori di tutto il mondo affinché siano disposti a cambiare passaporto. nanza non è tutto oro ciò che luccica. Nonostante una crescita economica del 13% l’anno per dieci anni consecutiv­i fino al 2016; sebbene l’oro del Qatar, il gas, ai livelli attuali di produzione non si esaurirà prima di 135 anni, anche qui esiste il “deficit di bilancio”. Non accadeva da 15 anni: è stato di 12 miliardi di dollari. Il crollo del prezzo degli idrocarbur­i è una causa. Ma l’impatto principale della crisi si chiama Mundial. Cioè i campionati mondiali di calcio del 2022 per i quali il Qatar ha deciso d’investire la monumental­e cifra di 220 miliardi di dollari. Per stadi e infrastrut­ture il governo sta spendendo 500 milioni la settimana.

Con i suoi fondamenta­li economici, per il Qatar non è difficile ottenere credito dalle istituzion­i finanziari­e internazio­nali. Ma per la prima volta dal 1995, quando Hamad diventò emiro e iniziò la cavalcata del Qatar verso ricchezza e popolarità globale, l’ordine al Qia e nei ministeri è risparmiar­e. Gli stadi non saranno più 12 ma otto, Qatar Petroleum e RasGas sono arrivati al terzo anno di riduzione del personale; Qatar Museum Autority ha licenziato 250 dipendenti e cancellato i progetti di due nuovi musei. Al Jazeera è stata massacrata: mille licenziati in tutto il mondo. Perfino la Qatar Foundation, l’intoccabil­e gioiello di Sheikha Moza, la madre dell’emiro Tamim, sta tagliando posti di lavoro.

Anche Qia si è ristruttur­ato. Qatar Holding, il braccio operativo del fondo sovrano, non esiste più. I suoi poteri e soprattutt­o la sua cassaforte da 100 miliardi di dollari sono passati a una nuova divisione, Qatar Investment­s che fa capo al ministero delle Finanze. Ali Shareef al Emadi, il ministro, è diventato uno dei qatarini più potenti, eccetto il gruppo più ristretto della famiglia dell’emiro. Oltre alla gestione degli investimen­ti della fu Qatar Holding, al Emadi è il presidente di Qatar Airways, controlla la Banca nazionale, le spese per i mondiali ed è nel board di Qia. Nessuna decisione su dove, come e quanto spendere delle ricchezze del fondo, sarà presa senza la sua approvazio­ne.

UNA CONGIUNTUR­A DIFFICILE La gestione di Tamim bin Hamad al Thani fa i conti con il calo delle quotazioni del petrolio e con le spese faraoniche per ospitare i Mondiali di calcio

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Tamim bin Hamad al Thani . Emiro del Qatar

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