Gli Usa attivano altre trivelle
Da diciassette settimane il numero delle trivelle in funzione negli Usa continua ad aumentare. Le compagnie petrolifere ne hanno aggiunte altre 9 per la ricerca di greggio (di cui 8 orizzontali, le più adatte allo shale oil). Ora sono in tutto 712 secondo le statistiche di Baker Hughes, più del doppio rispetto a un anno fa, e la produzione ha superato 9,3 milioni di barili al giorno, un record da agosto 2015. Le quotazioni del barile, anche su questo dato, hanno frenato il recupero: chiusura piatta a 50,84 $ per il Brent.
sono tornati i profitti, ma non è tornato il sereno. Il gigante dell’acciaio, candidato a rilevare l’Ilva di Taranto con Marcegaglia e Banca Intesa, ha più che raddoppiato il risultato operativo nel primo trimestre. Ma la borsa invece di festeggiare l’ha punito con un crollo dell’8% ad Amsterdam.
L’Ebitda è in effetti è cresciuto del 141% (a 2,2 miliardi di dollari) e il fatturato è aumentato di un quinto a 16,1 miliardi. Ma Arcelor ha anche ricominciato a bruciare cassa. Il debito è risalito e – come se questo non bastasse – il management ha suonato un campanello di allarme sul prossimo andamento del settore siderurgico.
Anche ThyssenKrupp ha deluso il mercato, subendo ribassi di oltre il 4%. Il gruppo tedesco ha attribuito la perdita trimestrale di 897 milioni di euro «esclusivamente» a svalutazioni per la cessione di un impianto brasiliano e ha migliorato le previsioni sull’Ebit per l’esercizio in corso (da 1,7 a 1,8 mliardi di euro), ma ha anche avvertito che il cash flow resterà negativo almeno fino a settembre.
Anche per ArcelorMittal non si può dire che le cose vadano male in assoluto. Il 2017 è anzi cominciato davvero bene, specie se si pensa alle difficoltà del passato: poco più di un anno fa il gruppo era stato costretta a un aumento di capitale per ripianare le forti perdite in bilancio, mentre l’eccessivo indebitamento le era costato il taglio del rating a livello «spazzatura».