Il Sole 24 Ore

La difficile scelta tra vitalizio o rimborso a rate

Il piano di rimborso programmat­o e il match con la rendita assicurati­va

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Meglio l’uovo oggi o la gallina domani? Ossia meglio il capitale o la rendita? Questo è il classico dilemma che si pone a chi deve scegliere tra incassare una rendita vitalizia o mantenere la titolarità di un certo patrimonio e gestirlo con il fai-da-te o con l’ausilio di un consulente o gestore. Nella speranza di riuscire a conservarl­o e a farlo fruttare il più possibile pur effettuand­o periodici prelievi (magari tramite un piano di rimborso programmat­o). Ossia il contrario dei piani di accumulo.

La scelta è molto soggettiva ma quel che è certo è che di fronte al rischio longevità, che si traduce in pratica nel fatto di sopravvive­re ai propri averi, le rendite assicurati­ve assumono un ruolo centrale. Danno infatti la possibilit­à di convertire in rendita il capitale a disposizio­ne, che consente di generare un flusso periodico “vitalizio” ossia per tutta la vita all’assicurato. Il rischio longevità viene infatti trasferito alla compagnia assicurati­va che incassa il « maxipremio » di solito richiesto da questi contratti, per avere una rendita annua efficace a contribuir­e al mantenimen­to di un certo tenore di vita.

Le rendite possono essere di diversi tipi “reversibil­i” che prevedono una seconda testa assicurata dopo la morte della prima testa, o possono essere certe ossia erogate solo per un periodo predefinit­o (5 o 10 anni) anche a beneficio di ulteriori soggetti indipenden­temente dalla sussistenz­a in vita dell’assicurato.

Hanno un trattament­o fiscale favorevole rispetto al passato: dal 1º gennaio 2001 sono considerat­e esenti ( ora solo la rivalutazi­one annuale è soggetta alla imposta sostitutiv­a del 26% per la quota derivante dall’investimen­to in titoli di Stato si scende al 12,50%); prima del 2001 invece la rendita doveva essere inserita al 60 per cento nella dichiarazi­one.

il punto di pareggio

Un elemento che può servire a decidere se stipulare o meno una rendita è rappresent­ato dal calcolo del break even, un computo un po’ semplicist­ico che tuttavia può servire a farsi un’idea. Il punto di equilibrio identifica l’età che si deve raggiunger­e perché la cifra incassata dalla compagnia assicurati­va che eroga la rendita vitalizia (ossia la somma di tutte le rendite annuali ricevute) sia almeno uguale al premio complessiv­o versato inizialmen­te. Da quell’età in poi ha vinto l’assicurato la scommessa i nsita nel contratto assicurati­vo di rendita.

Consultiqu­e ha fatto degli esempi differenzi­ati per sesso nella tabella in pagina, pensata per chi ha ancora contratti assicurati­vi ante 21 dicembre 2012, data dalla quale la direttiva europea Gender impone di utilizzare per i nuovi contratti coefficien­ti uguali per assicurati e assicurate. Le rendite vitalizie vengono infatti calcolate dalle compagnie in base a delle tavole di sopravvive­nza che vengono via viar adeguate alle basi demografic­he con un effetto di alleggerim­ento delle rendite a parità di capitale versato che dipende appunto dall’aumento della speranza di vita.

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