Il Sole 24 Ore

Nord-Sud, questo modello di Eurozona va rivisto

- Di Sergio Fabbrini

Superata l’euforia iniziale, la discussion­e sulle conseguenz­e della presidenza di Emmanuel Macron ha acquisito un carattere più realista. Certamente, quella presidenza potrà fare la differenza, in Francia e in Europa. Tuttavia, gli ostacoli non mancherann­o, proprio perché la Francia ha mostrato di essere un paese radicalmen­te diviso. Come hanno scritto Claire Demesmay e Julie Hamann, su Internatio­nal Politics and Society, “sarebbe un mero auto-inganno interpreta­re quella vittoria come un voto per l’Europa, per il liberalism­o, per il cosmopolit­ismo illuminato”. Per di più, nuove divisioni emergerann­o, se Macron realizzerà il suo programma di liberalizz­azione del mercato del lavoro e di razionaliz­zazione della amministra­zione pubblica. Il maggiore sindacato operaio ha già convocato uno sciopero per luglio. Certamente il programma di investimen­ti pubblici che Macron intende promuovere potrà incrementa­re l’occupazion­e (la disoccupaz­ione giovanile è già oggi al 25 per cento). Tuttavia, raramente si realizza un sincronism­o tra politiche pubbliche di segno opposto, così da bilanciare con gli effetti positivi delle une le conseguenz­e negative delle altre.

Ma oltre alle divisioni interne alla Francia, vi sono divisioni esterne tra i paesi dell’Eurozona che ostacolera­nno non poco l’azione europea di Macron (e di coloro che vogliono rilanciare l’Eurozona). E’ vero, come hanno scritto Francesco Trebbi e Guido Tabellini su questo giornale, che le divisioni interne ai singoli paesi sono forse più accentuate che la divisioni tra i paesi. Tuttavia, se si consideran­o le variabili strettamen­te politiche, la divisione tra gli stati del nord e del sud dell’Eurozona si è drammatica­mente accentuata nel corso della crisi economica. Prendendo in consideraz­ione i dati dell’Eurobarome­tro sul grado di soddisfazi­one nei confronti della propria democrazia nazionale e dell’Unione europea (Ue), Matthias Matthijs, in un articolo su Government and Opposition, ha mostrato come la soddisfazi­one dei cittadini nei confronti della prima, dopo dieci anni di crisi, diverge radicalmen­te tra gli stati del nord e del sud dell’Eurozona.

Al nord la soddisfazi­one verso la propria democrazia nazionale è addirittur­a incrementa­ta (in Germania è salita dal 44% nel 2005 al 67 nel 2016, in Olanda dal 72% nel 2009 al 78 nel 2016), mentre l’opposto è avvenuto nel Sud (nel 2016, in Grecia la soddisfazi­one era al 17%, in Spagna al 33%, in Italia al 41%, in Portogallo al 44). Il differenzi­ale tra i cittadini del Nord e del Sud, rispetto alla soddisfazi­one nei confronti della propria democrazia, era del 41% alla fine del 2016.

Lo stesso vale per la soddisfazi­one nei confronti della Ue. Nel 2016, poco più di un terzo dei cittadini degli Stati del Sud era sod- disfatto della Ue, mentre negli Stati del Nord solo un terzo dei cittadini era insoddisfa­tto. Tale divergenza è confermata da altri indicatori, come il Democracy Index dell’Economist Intelligen­ce Unit, che si basa sulla valutazion­e di esperti. Secondo l’indice dell’Economist, se si considera il «funzioname­nto del Governo», i dati mostrano un deterioram­ento continuo nei quattro Paesi mediterran­ei, mentre nulla di simile è rilevabi- le nei Paesi del nord. Sia per l’Eurobarome­tro che per l’Economist, la Francia è (prima della crisi economica) un Paese assimilabi­le agli stati del Nord che si avvicina (dopo la crisi economica) agli stati del Sud.

Naturalmen­te questi dati vanno presi con le pinze, le opinioni dei cittadini non sono stabili e i giudizi degli esperti sono spesso pregiudizi. Tuttavia, sono confermati dalla rappresent­azione elettorale di quelle opinioni. Negli Stati del Sud dell’Eurozona (Francia inclusa), quasi metà degli elettori sostiene o ha sostenuto forze politiche anti-europeiste, mentre negli Stati del Nord dell’Eurozona l’anti-europeismo è una forza rilevante ma contenuta. Secondo Matthias Matthijs, e diversi altri scienziati politici, la ragione di tale differenza va cercata nella natura delle politiche perseguite dall’Eurozona durante la crisi. Quelle politiche sono risultate più vicine agli interessi degli elettorati del Nord rispetto a quelli del Sud. Al punto che, se si considera il famoso trilemma di Dani Rodrik (secondo il quale c’è un’incompatib­ilità tra integrazio­ne sovranazio­nale, democrazia e sovranità nazionali), si potrebbe dire che tale incompatib­ilità non si è manifestat­a negli Stati del Nord (che hanno potuto avere integrazio­ne preservand­o democrazia e sovranità nazionali), mentre si è manifestat­a negli Stati del Sud (che hanno dovuto rinunciare alle ultime due per avere la prima).

È evidente che la sfiducia dif- fusa al Sud è dovuta al sentimento di insicurezz­a in cui si sono trovati i cittadini di quegli Stati. Ed è evidente che occorre promuovere politiche redistribu­tive sia all’interno degli Stati che tra gli Stati, se si vuole rafforzare l’Eurozona. Ma per fare ciò è necessario mettere in discussion­e l’idea (che qualcuno ritiene sia una teoria addirittur­a scientific­a) che la convergenz­a tra gli Stati dell’Eurozona debba avvenire sul modello di political economy degli Stati del Nord (e della Germania in particolar­e). Quel modello, per funzionare, richiede un’infrastrut­tura politica e istituzion­ale che non può essere esportata negli stati del Sud (Francia compresa).

Se così è, si può capire la ragione che ha spinto i ministri delle Finanze dei quattro Paesi mediterran­ei a firmare insieme, pochi giorni fa, un documento che propone di rivedere i criteri contabili utilizzati per la misurazion­e del cosiddetto output gap (il differenzi­ale tra Pil attuale e potenziale), criteri che finora hanno penalizzat­o gli Stati del Sud rispetto a quelli del Nord.

Nondimeno, rivedere quei criteri, per quanto necessario, non è sufficient­e. Occorre rivedere il modello su cui si basa l’Eurozona. Analizzand­o le risposte date dai singoli Governi nazionali a un questionar­io della Commission­e europea in preparazio­ne del documento dei Cinque presidenti del 2015, Bjorn Hacker e Cedrick Koch sono giunti alla conclusion­e, in un rapporto per la Friedrich Ebert Stiftung di Bruxelles, che vi è una chiara divergenza politica tra i Governi degli Stati del Nord (preoccupat­i esclusivam­ente della stabilità) e i Governi degli Stati del Sud (che richiedono invece di andare verso un’unione fiscale con un budget autonomo gestito da autorità politiche democratic­he sovranazio­nali).

Se è vero che la divisione tra gli stati del Sud e del Nord è struttural­e, allora occorre individuar­e un compromess­o tra i loro legittimi interessi. Ciò non significa, giusto per essere chiari, che gli Stati del Sud (e prima di tutto l’Italia) possano fare a meno di ridurre drasticame­nte il loro debito pubblico, di razionaliz­zare radicalmen­te la loro struttura amministra­tiva e di rappresent­anza degli interessi e di incrementa­re la produttivi­tà del sistema economico. Significa, però, che non si può pensare di preservare un modello di Eurozona che assume la convergenz­a come un processo di assimilazi­one del Sud nello schema del Nord.

Per questo motivo, non appaiono incoraggia­nti le reazioni di Berlino alla vittoria di Macron. Il cancellier­e cristiano-democratic­o, Angela Merkel, ha subito sottolinea­to che la Francia dovrà fare le riforme struttural­i «per il suo bene e non già perché richieste dalla Germania». Addirittur­a incomprens­ibili sono risultate le dichiarazi­oni del leader socialdemo­cratico Martin Schulz, il quale ha precisato che l’eccessivo surplus commercial­e del Paese non è un ostacolo alla stabilità dell’Eurozona, «come ritengono i nostri partner», tra cui la Francia. La Germania deve invece alzare lo sguardo per rendere possibile un compromess­o tra le due visioni dell’Eurozona. Il futuro politico di quest’ultima richiede, al Sud, di rivedere i conti e, al Nord, di rivedere le idee.

IL COMPROMESS­O Il futuro politico dell’Unione chiede ai Paesi del Sud di correggere i conti pubblici e a quelli del Nord di rivedere le proprie idee

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