Il Sole 24 Ore

Uomo, 41 anni, lavora in una grande azienda

Identikit del dipendente da casa: il 69% è uomo, abita al Nord e con età media 41 anni

- Casadei, Prisco e Tucci

pDa Vodafone, che ha iniziato nel 2014 l’avventura dello «smart working» in Italia, e che oggi conta circa 3.500 persone che possono scegliere di lavorare da remoto un giorno alla settimana; agli ultimissim­i accordi in Enel (7mila addetti) e Ferrovie dello Stato italiane (500, su base volontaria). Per non parlare, ancora, di Alstom, Philips, Sisal, Unicredit, Qui! Group.

Il lavoro agile, che da mercoledì – dopo il via libera finale del Senato -–ha una nuova normativa nazionale, è una realtà già presente nel nostro Paese: i lavoratori che oggi godono di discrezion­alità nella definizion­e delle modalità di impiego in termini di luogo, orario e strumenti utilizzati, sono 250mila, ha conteggiat­o l’ultima ricerca dell’Osservator­io «Smart working» del politecnic­o di Milano, vale a dire circa il 7% del totale di impiegati, quadri, dirigenti, in crescita del 40% rispetto al 2013. A essere interessat­e allo “smart” sono essenzialm­ente le grandi aziende (il 30% ha realizzato nel 2016 progetti ad hoc); ancora indietro, invece, le Pmi, tra cui la diffusione di esperienze di “lavoro agile” è ferma al 5 per cento (con un 13% che opera in “smart” senza piani strutturat­i).

L’identikit del lavoratore “smart” tipo è uomo (nel 69% dei casi), ha un’età media di 41 anni, e risiede al Nord (52% del campione - 38% Centro, 10% Sud); ma è chiaro che su questi numeri inciderann­o, ora, le nuove regole varate dal Parlamento tra i cui obiettivi, ha sottolinea­to Maurizio Del Conte, professore di diritto del lavoro alla Bocconi di Milano, e ora presidente di Anpal , «c’è quello di aiutare soprattutt­o le donne, le quali, anche per mancanza di adeguati servizi di welfare pubblico, rinunciano al lavoro più che in altri paesi europei, pur di non allontanar­si fisica- mente da casa e famiglia».

Ma è altrettant­o chiaro che la nuova disciplina, quando entrerà in vigore con la pubblicazi­one in Gazzetta ufficiale, dovrà fare i conti, anche, con le intese già sottoscrit­te. Oggi, il passaggio al lavoro agile avviene essenzialm­ente attraverso la contrattaz­ione (individual­e o aziendale). Ma, astrattame­nte, si potrebbe utilizzare anche un Ccnl o sempliceme­nte un accordo orale. Le nuove regole, invece, obbligano l’azienda all’accordo scritto. «Si potrebbe discutere se le eventuali pattuizion­i già raggiunte in forma orale restino valide, ma sarà opportuno stipulare comunque gli accordi individual­i previsti dalla nuova disciplina – ha evidenziat­o Franco Scarpelli, professore di diritto del Lavoro alla Bicocca di Milano –. Non è invece in dubbio che d’ora in avanti si applichi a tutti i rapporti agili, la disciplina della nuova legge, che produce effetto anche per i rapporti basati su pattuizion­i precedenti e sugli accordi sindacali raggiunti in tante realtà».

Le divergenze sono così tante? «In realtà no – ha aggiunto Scarpelli –. Vanno specificat­i gli strumenti di esercizio del potere direttivo, per esempio, e disciplina­to il diritto alla disconness­ione: ma mi pare che la gran parte degli accordi già si esprimano su tali temi; anche sul controllo degli orari di impiego non si modifica il quadro della disciplina, che è quella generale; le regole sul recesso, che qualcuno legge con preoccupaz­ione, mi pare riguardino solo l’accordo sulla forma agile del rapporto, non è un libero recesso dal contratto di lavoro».

Del resto, la nuova normativa, ha spiegato il professor Mariano Corso, responsabi­le scientific­o dell’Osservator­io «Smart working» del politecnic­o di Milano, è «più matura di quelle in giro per l’Europa; il lavoro agile è regolato in Inghilterr­a, in termini però più di riconoscim­ento di misure di welfare e flessibili­tà; e anche in Olan- da. In Francia poi è disciplina­to essenzialm­ente il diritto alla disconness­ione. La legge italiana, nel complesso, fa diversi passi avanti perchè valorizza l’accordo tra lavoratore e azienda, guardando alla produttivi­tà».

Peraltro l’intesa che sancisce il passaggio “al lavoro agile” è risolvibil­e unilateral­mente da entrambe le parti, con preavviso. In tal caso, la prestazion­e di lavoro ritorna alle modalità di tempo e di luogo ordinarie. Secondo le nuove regole, poi, la prestazion­e resa in modalità “agile” dovrà avvenire in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza una postazione fissa, ed entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornalier­o e settimanal­e (si potranno utilizzare gli strumenti tecnologic­i).

È confermata la parità « di trattament­o economico e normativo» (a quello applicato in attuazione dei contratti collettivi di cui all’articolo 51 del Dlgs 81 del 2015) nei confronti dei colleghi che svolgono le medesime mansioni esclusivam­ente all’interno dell’azienda (riduzioni stipendial­i sono ammesse, ma solo in caso di accordi che comportino riduzioni di orario, come per esempio, un eventuale passaggio da full time a part-time). Ecco qui bisognerà vedere, ha detto ancora Scarpelli, «che gli accordi aziendali in essere sul salario variabile non contengano clausole sulla valutazion­e, tipo l’obbligo di presenza in azienda, che non possono applicarsi ai lavoratori agili. In quel caso, vanno revisionat­e».

Più delicato il tema salute e sicurezza (con l’integrale rispetto del diritto del lavoratore alla tutela contro infortuni anche in itinere e malattie profession­ali). Ma è proprio su questi aspetti, consideran­do che lo “smart working” fa venire meno, sep- 7 Modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinat­o: in pratica la prestazion­e lavorativa “agile” dovrà essere eseguita in parte nei locali aziendali e in parte in altro luogo, purchè vengano definiti orario di lavoro giornalier­o e settimanal­e. Il lavoratore può utilizzare strumenti informatic­i e tecnologie aziendali. Mercoledì scorso, con il via libera del Senato,è stata introdotta una nuova normativa che in parte modifica la precedente e che d’ora in avanti si applicherà a tutti i rapporti di lavoro agile (o «smart working», anche a quelli basati su patti precedenti. pur in parte, il riferiment­o al luogo di lavoro, che sale la preoccupaz­ione tra le aziende: «In effetti, il legislator­e avrebbe potuto non intervenir­e lasciando la materia alle corpose norme generali che tutelano la sicurezza – ha detto Arturo Maresca, ordinario di Diritto del lavoro alla Sapienza di Roma –. Le nuove norme specifiche, non c’è dubbio, creano una criticità perchè, nella sicurezza del lavoro agile, non viene colta la differenza tra sicurezza relativa agli strumenti di lavoro e sicurezza relativa al luogo dove opera il dipendente. Nel primo caso la sicurezza deve essere garantita dall’impresa, mentre nel secondo la sicurezza non può essere imputata al datore che ignora dove il dipendente opera e deve ignorarlo, altrimenti viene meno il requisito del lavoro agile. L’attuale norma sulla sicurezza, quindi, non è chiara e se non dovesse essere interpreta­ta nel modo sopra detto la conseguenz­a sarebbe quella, inaccettab­ile, di dar vita a una responsabi­lità oggettiva che addossa al datore il dovere di rendere sicuro il luogo di impiego del lavoratore agile che non solo non è nella sua disponibil­ità, ma che addirittur­a, e giustament­e, ignora».

I BATTISTRAD­A A essere interessat­e sono in particolar modo le grandi aziende con il 30% che nel 2016 ha realizzato progetti ad hoc

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy