Cabina di regia, rischio «storico» con un sistema proporzionale
Si fa presto a dire cabina di regia, ma la decisione di Renzi di avviare un sistematico lavoro di coordinamento fra vertici del Pd e governo può diventare una novità non di poco conto. Non si tratta infatti semplicemente di una valutazione costante dell’adesione o meno del partito alla fiducia con cui sostiene il governo: questo è ovviamente sempre esistito in tutte le democrazie parlamentari. Si tratta piuttosto di un meccanismo che dovrebbe stabilire un rapporto di “travaso” fra le valutazioni che su iniziative di governo vengono fatte nel Consiglio dei ministri e nei vertici del partito.
Il tema per la verità è un classico nella storia dei rapporti fra governi e partiti di maggioranza che li sostengono. Già all’origine della nostra storia repubblicana fu un asse dello scontro fra De Gasperi che sosteneva l’autonomia dell’esecutivo e Dossetti che reclamava il diritto del partito (la DC) a imporre la presa in considerazione del suo modo di affrontare le questioni in campo. Anche allora dietro quel contrasto stava in parte un tema che oggi ritorna, pur non detto, in primo piano: il rapporto che un governo ha con quello che De Gasperi chiamò “il quarto partito”, cioè il sistema di potere economico, sociale e istituzionale-burocratico, rapporto che lo condiziona molto nell’azione e che il partito o non vuole vedere o affronta lungo linee che prescindono dalle esigenze di incisività che si pongono all’Esecutivo.
Potenzialmente, come si intuisce, la novità può avere un impatto rilevante sul sistema, anche se si deve superare il sospetto che tutto si risolva in un momentaneo colpo di teatro per dare peso e palcoscenico ad un segretario di partito in attesa di tornare a quel ruolo di premier nel cui precedente esercizio non si era posto quel problema. Se però, come è possibile, le elezioni tarderanno sino a primavera 2018 si sarà varata una prassi dalla quale non sarà poi agevole discostarsi.
Il controllo preventivo del partito sull’azione di governo apre infatti non poche questioni. Quella più banale è nella non semplice gestione dei rapporti con quelle componenti dell’esecutivo che non fanno capo al partito di maggioranza, vuoi perché “tecnici”, vuoi perché espressione di altre componenti della coalizione. Portare i contrasti con queste componenti a livello “pubblico” ha i suoi rischi, perché naturalmente i tecnici hanno la loro credibilità da difendere e i membri del governo espressione di altri partiti i loro insediamenti elettorali, mentre per il Pd diventerebbe difficile accettare che le prese di posizione dei suoi vertici venissero semplicemente bypassate.
Che questo quadro possa diventare molto complicato nel caso probabile di future elezioni con un sistema proporzionale è facile da immaginare. Un governo di coalizione, magari molto ampia, già porrebbe problemi così come un ricorso ad inserzioni di “tecnici” o comunque di personalità fuori delle filiere di partito, risorse a cui si potrebbe dover ricorrere per rafforzare la legittimazione di un governo uscito da un parlamento frammentato e percorso da tensioni che ne indeboliscano il consenso interno e internazionale.
Un accenno va anche fatto al problema del rapporto del partito coi gruppi parlamentari. Ovvio che oggi può interessare al segretario mettere sotto tutela compagini che non sono uscite dalla sua presa sul partito facendo leva sui nuovi organi dirigenti legittimati da un consenso popolare recente. Domani però questo scenario potrebbe essere diverso e allora si rischierebbe di arrivare ad un ulteriore depotenziamento del ruolo del parlamentare, ridotto a un semplice figurante a meno che non sieda nel governo o nei vertici del partito.
Insomma potrebbe essere alle viste una dinamica che va al di là di quel che rappresentavano le vecchie “cabine di regia” della prima repubblica, perché oggi i partiti non sono più quelli di un tempo, perché il rapporto fra politica e ceti dirigenti del sistema nazionale si presenta in termini diversi, perché è problematica la convivenza fra domanda di leadership che sale dalla crisi delle nostre società e resistenze al suo consolidamento che sono ancora forti nella tradizione culturale delle nostre elite.