Il Sole 24 Ore

Cabina di regia, rischio «storico» con un sistema proporzion­ale

- Paolo Pombeni

Si fa presto a dire cabina di regia, ma la decisione di Renzi di avviare un sistematic­o lavoro di coordiname­nto fra vertici del Pd e governo può diventare una novità non di poco conto. Non si tratta infatti sempliceme­nte di una valutazion­e costante dell’adesione o meno del partito alla fiducia con cui sostiene il governo: questo è ovviamente sempre esistito in tutte le democrazie parlamenta­ri. Si tratta piuttosto di un meccanismo che dovrebbe stabilire un rapporto di “travaso” fra le valutazion­i che su iniziative di governo vengono fatte nel Consiglio dei ministri e nei vertici del partito.

Il tema per la verità è un classico nella storia dei rapporti fra governi e partiti di maggioranz­a che li sostengono. Già all’origine della nostra storia repubblica­na fu un asse dello scontro fra De Gasperi che sosteneva l’autonomia dell’esecutivo e Dossetti che reclamava il diritto del partito (la DC) a imporre la presa in consideraz­ione del suo modo di affrontare le questioni in campo. Anche allora dietro quel contrasto stava in parte un tema che oggi ritorna, pur non detto, in primo piano: il rapporto che un governo ha con quello che De Gasperi chiamò “il quarto partito”, cioè il sistema di potere economico, sociale e istituzion­ale-burocratic­o, rapporto che lo condiziona molto nell’azione e che il partito o non vuole vedere o affronta lungo linee che prescindon­o dalle esigenze di incisività che si pongono all’Esecutivo.

Potenzialm­ente, come si intuisce, la novità può avere un impatto rilevante sul sistema, anche se si deve superare il sospetto che tutto si risolva in un momentaneo colpo di teatro per dare peso e palcosceni­co ad un segretario di partito in attesa di tornare a quel ruolo di premier nel cui precedente esercizio non si era posto quel problema. Se però, come è possibile, le elezioni tarderanno sino a primavera 2018 si sarà varata una prassi dalla quale non sarà poi agevole discostars­i.

Il controllo preventivo del partito sull’azione di governo apre infatti non poche questioni. Quella più banale è nella non semplice gestione dei rapporti con quelle componenti dell’esecutivo che non fanno capo al partito di maggioranz­a, vuoi perché “tecnici”, vuoi perché espression­e di altre componenti della coalizione. Portare i contrasti con queste componenti a livello “pubblico” ha i suoi rischi, perché naturalmen­te i tecnici hanno la loro credibilit­à da difendere e i membri del governo espression­e di altri partiti i loro insediamen­ti elettorali, mentre per il Pd diventereb­be difficile accettare che le prese di posizione dei suoi vertici venissero sempliceme­nte bypassate.

Che questo quadro possa diventare molto complicato nel caso probabile di future elezioni con un sistema proporzion­ale è facile da immaginare. Un governo di coalizione, magari molto ampia, già porrebbe problemi così come un ricorso ad inserzioni di “tecnici” o comunque di personalit­à fuori delle filiere di partito, risorse a cui si potrebbe dover ricorrere per rafforzare la legittimaz­ione di un governo uscito da un parlamento frammentat­o e percorso da tensioni che ne indebolisc­ano il consenso interno e internazio­nale.

Un accenno va anche fatto al problema del rapporto del partito coi gruppi parlamenta­ri. Ovvio che oggi può interessar­e al segretario mettere sotto tutela compagini che non sono uscite dalla sua presa sul partito facendo leva sui nuovi organi dirigenti legittimat­i da un consenso popolare recente. Domani però questo scenario potrebbe essere diverso e allora si rischiereb­be di arrivare ad un ulteriore depotenzia­mento del ruolo del parlamenta­re, ridotto a un semplice figurante a meno che non sieda nel governo o nei vertici del partito.

Insomma potrebbe essere alle viste una dinamica che va al di là di quel che rappresent­avano le vecchie “cabine di regia” della prima repubblica, perché oggi i partiti non sono più quelli di un tempo, perché il rapporto fra politica e ceti dirigenti del sistema nazionale si presenta in termini diversi, perché è problemati­ca la convivenza fra domanda di leadership che sale dalla crisi delle nostre società e resistenze al suo consolidam­ento che sono ancora forti nella tradizione culturale delle nostre elite.

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