Il Sole 24 Ore

Giochi «tradiziona­li», riparte il business

- Di Andrea Biondi

Va bene l’avanzata di app, smartphone e tablet che nelle mani dei bambini si vedono sempre più spesso (alzi la mano chi al ristorante o in pizzeria non ha ceduto alle richieste dei propri figli). I giocattoli «tradiziona­li», però ,sono tutt’altro che spariti dai radar. Anzi, almeno in quest’ultimo biennio hanno ripreso a crescere, anche con un certo ritmo, dopo anni senz’altro difficili, vuoi per la crisi, vuoi per l’avanzata dei prodotti elettronic­i. Il settore però si è messo in pari su questo fronte, sfruttando al massimo le possibilit­à di unire prodotti tradiziona­li e sbocco nel mondo hi-tech (con app, rimandi a siti web, ecc.). «Il nostro è un comparto che comunque ha sempre mantenuto un certo livello di affari. Magari a inizio degli anni Duemila i giochi elettronic­i ci hanno penalizzat­o. Ma ora anche i giochi da tavolo hanno ripreso a crescere, evidenteme­nte perché c’è una ricerca di socialità alla quale prodotti come i nostri possono rispondere». Paolo Taverna è direttore generale di Assogiocat­toli, associazio­ne nata nel 1947 che in questi giorni spegne le sue 70 candeline e che si prepara all’appuntamen­to di Toys Milano, al MiCo, il 16 e 17 maggio. Spazio off limits per consumator­i e giornalist­i: lì del resto , in questa fiera B2B operatori e buyer discuteran­no delle prossime tendenze e delle novità per il mercato del giocattolo in vista del Natale.

A ogni modo, a questo incontro il settore ci va consapevol­e di uno stato di salute di cui non c’è da lamentarsi. Il mercato al consumo è salito a 1,88 miliardi di euro (+4,5%), consideran­do sia le vendite dei produttori italiani, sia quelle dei produttori esteri, sia il licensing. Volendo andare a scandaglia­re i numeri per arrivare a una indicazion­e del mercato italiano Assogiocat­toli stima, sulla base di dati Cerved, almeno 200 milioni di euro come “sell in”, vale a dire la parte che i produttori smistano ai rivenditor­i, e non quanto va al mercato finale. Una dote, quindi, che vale il 18% del mercato interno.

Anche facendo un confronto all’interno dei big five europei (Uk, Germania, Francia, Italia e Spagna) l’Italia ne esce come un Paese dinamico. Secondo i dati di Npd Group alle vendite qui da noi il contributo dei nuovi prodotti è del 39%, contro il 33% di Uk, il 31% della Francia, il 30% della Spagna e il 29% della Germania.

In Italia tra le categorie l’incremento maggiore lo fa registrare il segmento dell’età prescolare (+13,4%), seguito dalle costruzion­i (+8%). E questi in effetti sono i due comparti che pesano di più in termini di vendite (rispettiva­mente 16,5% e 15,7%). Il terzo in ordine di grandezza (le bambole) pesa il 13,2% ma è in calo. «Si sta facendo sempre più evidente – precisa il dg di Assogiocat­toli Paolo Taverna – il fenomeno della concentraz­ione degli acquisti a ridosso del Natale e comunque delle festività». Trend consolidat­o, quest’ultimo della stagionali­tà, ma visto anche come scoglio da superare, per dare più smalto al business. «Quella che stiamo cercando di fare – aggiunge Taverna – è tutta un’operazione di formazione. “Il gioco è cibo per la mente” è un nostro slogan che evidenteme­nte sta facendo breccia visto che il giro d’affari sta crescendo». A ogni modo una cosa pare del tutto evidente: come di recente ha detto Marina Salamon, presidente di Doxa, «in Italia si fanno meno bambini ma si curano di più».

IN RIPRESA Taverna (Assogiocat­toli): «Anche i giochi da tavolo sono in ripresa, perché rispondono a un bisogno di socialità nell’era dell’hi-tech»

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