Il soft power passa per la community degli Italici
Gli italiani all’estero sono una risorsa poco valorizzata; non solo i cittadini italiani residenti all’estero, ma anche i loro discendenti e coloro che italiani lo sono solo di adozione. L’Italia è una community straordinaria di cui tantissimi vogliono far parte, anche se in maniera non totalizzante, ma che per rafforzare la propria affiliazione non chiedono altro che essere coinvolti. Sono gli Italici, come li ha chiamati Piero Bassetti mutuando un termine già utilizzato per i ndicare tutte le antiche popolazioni che vivevano in Italia prima dell’unificazione romana, coloro che sono attratti dall’Italia e che definiscono la propria identità anche mediante il nostro Paese.
Oggi più che mai infatti, l’identità è un costrutto multidimensionale, formato da diverse sfaccettature che non si pongono in alternativa, ma che contribuiscono a creare l’immagine che ognuno ha di sé. Ecco perché la community degli Italici non è composta soltanto da coloro che sono Italiani per il passaporto o per il Dna, ma anche da coloro che hanno studiato o lavorato in Italia o che semplicemente hanno un interesse per la nostra cultura nelle sue diverse manifestazioni.
È impressionante pensare che in questo momento ci sono nel mondo quasi due milioni e mezzo di stranieri che studiano l’Italiano, una lingua che non è morta, ma che rappresenta forse il principale vettore dell’identità, insieme all’arte e ai prodotti del made in Italy. L’ha capito bene il ministero degli Affari Esteri che ha dato vita al concetto di promozione integrata, collegando prodotti, arte, cultura, cucina, istruzione e più in generale le espressioni della creatività e della produttività italiana.
«Vivere all’Italiana» non è solo uno slogan, ma un nuovo modo di lavorare in squadra che si aggiunge alle attività delle missioni all’estero, degli istituti di cultura e delle diverse agenzie. Gli Italici, a cui piace ritrovarsi, connettere esperienze, facilitare gli scambi, mostrano generalmente grande disponibilità a esser coinvolti in progetti e attività che contribuiscono anche ad animare piccole comunità a livello locale.
Spesso si parla di Italiani all’estero in prossimità delle elezioni politiche oppure quando vengono presentati i dati sulla fuga di cervelli, ma normalmente è un tema spesso snobbato e di cui non viene considerata la rilevanza. Viceversa le opportunità derivanti da queste realtà sono ovviamente significative e riguardano gli ambiti più disparati, dall’economia alla medicina, dall’arte alla solidarietà.
Un campo molto interessante in cui esistono alcune esperienze di successo sono gli ex studenti delle università (italiani all’estero o stranieri rientrati nel proprio paese). A New York, per esempio, l’Università Bocconi e la Luiss hanno gruppi di Alumni che rappresentano contesti di socializzazione per chi arriva e di networking per chi partecipa alle diverse attività, oppure a Buenos Aires dove intorno alla sede dell’Università di Bologna si aggregano gruppi di ex studenti.
L’età, gli i nteressi e le esperienze comuni rappresentano le leve più rilevanti per attivare queste reti; tipicamente i giovani tra i trenta e i quarant’anni che condividono interessi di business tendono a trovarsi più facilmente, come avviene anche a Londra, dove esistono diversi circuiti connessi tra loro. Come insegna l’esperienza delle comunità organizzative o delle brandcommunity, l’appartenenza è un elemento necessario, ma l’intensità dell’identificazione e dunque dell’aggre-
FORZA DELL’IDENTITÀ Grandi le potenzialità del network di contatti che si crea tra quanti si riconoscono nel brand del nostro Paese
INTERNAZIONALIZZAZIONE Il patrimonio relazionale degli ex studenti universitari all’estero va coltivato percorrendo strade ancora inesplorate
gazione dipendono dalla condivisione di interessi e dalle relazioni sociali.
Per le università si tratta di un’area di sviluppo interessante perché l’internazionalizzazione non passa soltanto attraverso progetti di ricerca internazionali, scambi culturali o corsi congiunti. Il patrimonio relazionale di Alumni Italici però va custodito e coltivato, percorrendo percorsi ancora ampiamente inesplorati dalle università pubbliche. Da una parte, l’inclinazione italiana alle relazioni richiede un grado maggiore di strutturazione e una minore estemporaneità; dall’altra l’orientamento non può essere unicamente utilitaristico, ma richiede la costruzione di una relazione orientata al lungo periodo che non fa ancora parte della tradizione.
La creazione di una comunità di Alumni, tanto sul territorio italiano quanto all’estero, richiede tempo e dipende da un sottile equilibrio tra appartenenza istituzionale e incentivi, nel senso più nobile del termine, che i partecipanti ricevono dalla relazione con la propria Alma Mater e con gli ex compagni di corso, affinché non si risolva tutto in una simpatica rimpatriata.
In occasione della prossima Festa della Repubblica, grazie anche all’attivismo dell’Ambasciata a Tel Aviv, si svolgerà la prima riunione che chiama a raccolta alcune centinaia di medici israeliani laureati a Bologna; sarà un’occasione per capire se, anche al di fuori dei contesti più sperimentati, sia possibilecoltivare una comunità che contribuisca alle relazioni tra le persone, allo sviluppo delle organizzazioni e al soft power della Penisola.