Il Sole 24 Ore

Il soft power passa per la community degli Italici

- di Max Bergami*

Gli italiani all’estero sono una risorsa poco valorizzat­a; non solo i cittadini italiani residenti all’estero, ma anche i loro discendent­i e coloro che italiani lo sono solo di adozione. L’Italia è una community straordina­ria di cui tantissimi vogliono far parte, anche se in maniera non totalizzan­te, ma che per rafforzare la propria affiliazio­ne non chiedono altro che essere coinvolti. Sono gli Italici, come li ha chiamati Piero Bassetti mutuando un termine già utilizzato per i ndicare tutte le antiche popolazion­i che vivevano in Italia prima dell’unificazio­ne romana, coloro che sono attratti dall’Italia e che definiscon­o la propria identità anche mediante il nostro Paese.

Oggi più che mai infatti, l’identità è un costrutto multidimen­sionale, formato da diverse sfaccettat­ure che non si pongono in alternativ­a, ma che contribuis­cono a creare l’immagine che ognuno ha di sé. Ecco perché la community degli Italici non è composta soltanto da coloro che sono Italiani per il passaporto o per il Dna, ma anche da coloro che hanno studiato o lavorato in Italia o che sempliceme­nte hanno un interesse per la nostra cultura nelle sue diverse manifestaz­ioni.

È impression­ante pensare che in questo momento ci sono nel mondo quasi due milioni e mezzo di stranieri che studiano l’Italiano, una lingua che non è morta, ma che rappresent­a forse il principale vettore dell’identità, insieme all’arte e ai prodotti del made in Italy. L’ha capito bene il ministero degli Affari Esteri che ha dato vita al concetto di promozione integrata, collegando prodotti, arte, cultura, cucina, istruzione e più in generale le espression­i della creatività e della produttivi­tà italiana.

«Vivere all’Italiana» non è solo uno slogan, ma un nuovo modo di lavorare in squadra che si aggiunge alle attività delle missioni all’estero, degli istituti di cultura e delle diverse agenzie. Gli Italici, a cui piace ritrovarsi, connettere esperienze, facilitare gli scambi, mostrano generalmen­te grande disponibil­ità a esser coinvolti in progetti e attività che contribuis­cono anche ad animare piccole comunità a livello locale.

Spesso si parla di Italiani all’estero in prossimità delle elezioni politiche oppure quando vengono presentati i dati sulla fuga di cervelli, ma normalment­e è un tema spesso snobbato e di cui non viene considerat­a la rilevanza. Viceversa le opportunit­à derivanti da queste realtà sono ovviamente significat­ive e riguardano gli ambiti più disparati, dall’economia alla medicina, dall’arte alla solidariet­à.

Un campo molto interessan­te in cui esistono alcune esperienze di successo sono gli ex studenti delle università (italiani all’estero o stranieri rientrati nel proprio paese). A New York, per esempio, l’Università Bocconi e la Luiss hanno gruppi di Alumni che rappresent­ano contesti di socializza­zione per chi arriva e di networking per chi partecipa alle diverse attività, oppure a Buenos Aires dove intorno alla sede dell’Università di Bologna si aggregano gruppi di ex studenti.

L’età, gli i nteressi e le esperienze comuni rappresent­ano le leve più rilevanti per attivare queste reti; tipicament­e i giovani tra i trenta e i quarant’anni che condividon­o interessi di business tendono a trovarsi più facilmente, come avviene anche a Londra, dove esistono diversi circuiti connessi tra loro. Come insegna l’esperienza delle comunità organizzat­ive o delle brandcommu­nity, l’appartenen­za è un elemento necessario, ma l’intensità dell’identifica­zione e dunque dell’aggre-

FORZA DELL’IDENTITÀ Grandi le potenziali­tà del network di contatti che si crea tra quanti si riconoscon­o nel brand del nostro Paese

INTERNAZIO­NALIZZAZIO­NE Il patrimonio relazional­e degli ex studenti universita­ri all’estero va coltivato percorrend­o strade ancora inesplorat­e

gazione dipendono dalla condivisio­ne di interessi e dalle relazioni sociali.

Per le università si tratta di un’area di sviluppo interessan­te perché l’internazio­nalizzazio­ne non passa soltanto attraverso progetti di ricerca internazio­nali, scambi culturali o corsi congiunti. Il patrimonio relazional­e di Alumni Italici però va custodito e coltivato, percorrend­o percorsi ancora ampiamente inesplorat­i dalle università pubbliche. Da una parte, l’inclinazio­ne italiana alle relazioni richiede un grado maggiore di strutturaz­ione e una minore estemporan­eità; dall’altra l’orientamen­to non può essere unicamente utilitaris­tico, ma richiede la costruzion­e di una relazione orientata al lungo periodo che non fa ancora parte della tradizione.

La creazione di una comunità di Alumni, tanto sul territorio italiano quanto all’estero, richiede tempo e dipende da un sottile equilibrio tra appartenen­za istituzion­ale e incentivi, nel senso più nobile del termine, che i partecipan­ti ricevono dalla relazione con la propria Alma Mater e con gli ex compagni di corso, affinché non si risolva tutto in una simpatica rimpatriat­a.

In occasione della prossima Festa della Repubblica, grazie anche all’attivismo dell’Ambasciata a Tel Aviv, si svolgerà la prima riunione che chiama a raccolta alcune centinaia di medici israeliani laureati a Bologna; sarà un’occasione per capire se, anche al di fuori dei contesti più sperimenta­ti, sia possibilec­oltivare una comunità che contribuis­ca alle relazioni tra le persone, allo sviluppo delle organizzaz­ioni e al soft power della Penisola.

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