Il Sole 24 Ore

Processo tributario, in appello il nodo nuovi documenti

- Di Enrico De Mita

Secondo la Commission­e tributaria regionale di Napoli, si esporrebbe alla censura di illegittim­ità costituzio­nale la disposizio­ne del decreto legislativ­o sul contenzios­o tributario che fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti nel

giudizio d’appello (articolo 58, comma 2°, Dlgs 546/92).

L’ordinanza di rimessione risale al 22 aprile 2016, ma è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale, serie speciale n. 49/2016.

Essa contesta, d’ufficio, che sia conforme all’ordinament­o costituzio­nale una norma che consenta la produzione di nuovi documenti in appello, anche se già in possesso della parte in 1° grado e da essa non prodotti affatto o non prodotti tempestiva­mente.

Tale produzione dovrebbe, invece, essere preclusa, secondo la Ctr di Napoli, perché la mancata produzione in 1° grado avrebbe prodotto un effetto decadenzia­le definitivo e insanabile.

Nel giudizio all’esame della Commission­e campana si controvert­e della legittimit­à della produzione in appello della prova documental­e della notifica di cartelle di pagamento prodromich­e al preavviso di fermo impugnato dal ricorrente, vittorioso in 1° grado, benché tali prove documental­i fossero nella disponibil­ità della parte producente, nella specie Equitalia Sud Spa, sin dal primo grado di giudizio.

Il comma 2° dell’articolo 58 nel far salva indiscrimi­natamente la possibilit­à di produzione in 2° grado di nuovi documenti, sarebbe in contrasto con gli articoli 3 e 24 Costituzio­ne, per disparità di trattament­o delle parti e intollerab­ile sbilanciam­ento a favore della parte che può produrre per la prima volta in appello documenti già in suo possesso nel grado anteriore e in danno della contropart­e, che dovrebbe veder limitata e compromess­a la sua difesa “per effetto dell’indubbia sottrazion­e di un grado di giudizio alla sua posizione processual­e”.

Ulteriore parametro costituzio­nale vulnerato sarebbe l’articolo 117, comma 1° della Costituzio­ne e, per esso, rispetto ai vincoli derivanti, dall’articolo 6 Cedu che sancisce il diritto ad un equo processo. La norma, sempre secondo la tesi del giudice remittente, farebbe rivivere diritti perenti o caducati con connesse anomalie e non meglio precisate incongruen­ze interpreta­tive radicate dalla congiunta lettura dei due commi dell’articolo 58 richiamato. Come noto, l’articolo 345 Cpc non ammette la produzione di nuovi documenti nel processo civile, salvo che la parti dimostri di non aver potuto produrli nel giudizio di primo grado per causa a essa non imputabile.

La disciplina del contenzios­o tributario, in generale richiama l’applicazio­ne delle norme del processo civile in tanto in quanto non siano espressame­nte derogate dalla norma processual­e tributaria (articolo 1, comma 2°, Dlgs 546/92).

La norma specifica e derogatori­a del diritto comune è proprio costituita dall’articolo 58, comma 2°, Dlgs 56/1992, costanteme­nte interpreta­ta dal diritto vivente (si veda da ultimo Cassazione 22776/2015), nel senso che in materia di contenzios­o tributario è sempre consentita la produzione, nel giudizio d’appello, di qualsiasi documento, pur se già disponibil­e in precedenza.

Vi è da chiedersi se tale deroga sia razionale e se l’apparente di- scrasia del sistema trovi una giustifica­zione che lo sottragga, a un primo tentativo di interpreta­zione adeguatric­e della norma scrutinata, alle censure di illegittim­ità costituzio­nale prospettat­e.

La prova documental­e è prova maestra nel processo tributario, viste anche le preclusion­i poste dall’articolo 7 dello stesso Dlgs 546/92.

Il chiaro disposto dell’articolo 58, comma 2°, citato, senza bisogno di riproporre il consolidat­o orientamen­to di legittimit­à, abilita alla produzione di qualsivogl­ia documento in appello, senza restrizion­e alcuna e con disposizio­ne autonoma rispetto a quella che - nel comma precedente - sottopone a restrizion­e l’accoglimen­to dell’istanza di ammissione di altre fonti di prova.

Infatti, l’articolo 345 Cpc, 3° comma, va interpreta­to nel senso che esso fissa sul piano generale il principio dell’inammissib­ilità di mezzi di prova nuovi, la cui ammissione non sia stata richiesta in precedenza, e quindi anche delle produzioni documental­i; e, nello stesso tempo, indica i limiti di tale regola, ponendo in via alternativ­a i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame (impossibil­ità di produzione e/o decisività degli stessi; si veda Cassazione, Sezioni Unite 8203/2005).

Diversamen­te nel processo tributario, non appare per nulla irrazional­e l’orientamen­to di legittimit­à ormai ultradecen­nale che invoca proprio l’articolo 1, comma 2°, del Dlgs 546/92 a fondamento della razionalit­à della deroga tributaria, ammissibil­e, in quanto il processo tributario è tipicament­e fondato su elementi documental­i con esclusione sia del giuramento sia della prova testimonia­le (articolo 7, comma 4° Dlgs 546/92). Il legislator­e, nell’esercizio della sua discrezion­alità, che non si espone a censure di legittimit­à costituzio­nale, ha fortemente voluto privilegia­re la produzione documental­e.

In conclusion­e, se vi possono essere dubbi sulla ammissibil­ità o meno della questione posta dalla Ctr di Napoli, non pare possa dubitarsi della sua manifesta infondatez­za.

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