Processo tributario, in appello il nodo nuovi documenti
Secondo la Commissione tributaria regionale di Napoli, si esporrebbe alla censura di illegittimità costituzionale la disposizione del decreto legislativo sul contenzioso tributario che fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti nel
giudizio d’appello (articolo 58, comma 2°, Dlgs 546/92).
L’ordinanza di rimessione risale al 22 aprile 2016, ma è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale, serie speciale n. 49/2016.
Essa contesta, d’ufficio, che sia conforme all’ordinamento costituzionale una norma che consenta la produzione di nuovi documenti in appello, anche se già in possesso della parte in 1° grado e da essa non prodotti affatto o non prodotti tempestivamente.
Tale produzione dovrebbe, invece, essere preclusa, secondo la Ctr di Napoli, perché la mancata produzione in 1° grado avrebbe prodotto un effetto decadenziale definitivo e insanabile.
Nel giudizio all’esame della Commissione campana si controverte della legittimità della produzione in appello della prova documentale della notifica di cartelle di pagamento prodromiche al preavviso di fermo impugnato dal ricorrente, vittorioso in 1° grado, benché tali prove documentali fossero nella disponibilità della parte producente, nella specie Equitalia Sud Spa, sin dal primo grado di giudizio.
Il comma 2° dell’articolo 58 nel far salva indiscriminatamente la possibilità di produzione in 2° grado di nuovi documenti, sarebbe in contrasto con gli articoli 3 e 24 Costituzione, per disparità di trattamento delle parti e intollerabile sbilanciamento a favore della parte che può produrre per la prima volta in appello documenti già in suo possesso nel grado anteriore e in danno della controparte, che dovrebbe veder limitata e compromessa la sua difesa “per effetto dell’indubbia sottrazione di un grado di giudizio alla sua posizione processuale”.
Ulteriore parametro costituzionale vulnerato sarebbe l’articolo 117, comma 1° della Costituzione e, per esso, rispetto ai vincoli derivanti, dall’articolo 6 Cedu che sancisce il diritto ad un equo processo. La norma, sempre secondo la tesi del giudice remittente, farebbe rivivere diritti perenti o caducati con connesse anomalie e non meglio precisate incongruenze interpretative radicate dalla congiunta lettura dei due commi dell’articolo 58 richiamato. Come noto, l’articolo 345 Cpc non ammette la produzione di nuovi documenti nel processo civile, salvo che la parti dimostri di non aver potuto produrli nel giudizio di primo grado per causa a essa non imputabile.
La disciplina del contenzioso tributario, in generale richiama l’applicazione delle norme del processo civile in tanto in quanto non siano espressamente derogate dalla norma processuale tributaria (articolo 1, comma 2°, Dlgs 546/92).
La norma specifica e derogatoria del diritto comune è proprio costituita dall’articolo 58, comma 2°, Dlgs 56/1992, costantemente interpretata dal diritto vivente (si veda da ultimo Cassazione 22776/2015), nel senso che in materia di contenzioso tributario è sempre consentita la produzione, nel giudizio d’appello, di qualsiasi documento, pur se già disponibile in precedenza.
Vi è da chiedersi se tale deroga sia razionale e se l’apparente di- scrasia del sistema trovi una giustificazione che lo sottragga, a un primo tentativo di interpretazione adeguatrice della norma scrutinata, alle censure di illegittimità costituzionale prospettate.
La prova documentale è prova maestra nel processo tributario, viste anche le preclusioni poste dall’articolo 7 dello stesso Dlgs 546/92.
Il chiaro disposto dell’articolo 58, comma 2°, citato, senza bisogno di riproporre il consolidato orientamento di legittimità, abilita alla produzione di qualsivoglia documento in appello, senza restrizione alcuna e con disposizione autonoma rispetto a quella che - nel comma precedente - sottopone a restrizione l’accoglimento dell’istanza di ammissione di altre fonti di prova.
Infatti, l’articolo 345 Cpc, 3° comma, va interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio dell’inammissibilità di mezzi di prova nuovi, la cui ammissione non sia stata richiesta in precedenza, e quindi anche delle produzioni documentali; e, nello stesso tempo, indica i limiti di tale regola, ponendo in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame (impossibilità di produzione e/o decisività degli stessi; si veda Cassazione, Sezioni Unite 8203/2005).
Diversamente nel processo tributario, non appare per nulla irrazionale l’orientamento di legittimità ormai ultradecennale che invoca proprio l’articolo 1, comma 2°, del Dlgs 546/92 a fondamento della razionalità della deroga tributaria, ammissibile, in quanto il processo tributario è tipicamente fondato su elementi documentali con esclusione sia del giuramento sia della prova testimoniale (articolo 7, comma 4° Dlgs 546/92). Il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, che non si espone a censure di legittimità costituzionale, ha fortemente voluto privilegiare la produzione documentale.
In conclusione, se vi possono essere dubbi sulla ammissibilità o meno della questione posta dalla Ctr di Napoli, non pare possa dubitarsi della sua manifesta infondatezza.