Il Sole 24 Ore

Quelle tre speranze che portarono all’euro

- Di Giorgio La Malfa

La complessit­à del problema dell’euro nasce dal fatto che in esso si intersecan­o, in modo quasi indissolub­ile, economia e politica. La convinzion­e o la speranza dei suoi promotori era che il successo sul piano economico della moneta unica avrebbe facilitato l’obiettivo politico di una sempre più stretta integrazio­ne politica europea. La crisi dell’euro riflette la fine di questa illusione.

Per il premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz, in un libro recente che ora appare nella traduzione italiana ( L’euro: come una moneta comune minaccia il futuro dell’Europa, Einaudi), «le tre speranze che avevano accompagna­to la nascita dell’euro: 1) che esso avrebbe portato a una maggiore coesione europea, e quindi all’integrazio­ne; 2) che la più stretta integrazio­ne economica avrebbe portato a una crescita più veloce dell’economia; 3) che questa maggiore integrazio­ne economica e la conseguent­e maggiore integrazio­ne politica avrebbero garantito la pace in Europa» (p. 37) non si sono avverate e, a meno di un radicale cambiament­o, non sono destinate ad avverarsi.

Stiglitz, uno dei più versatili fra gli economisti della sua generazion­e, capace di muoversi con sicurezza fra la teoria e le analisi statistich­e dipinge un quadro che non lascia dubbi sullo stato dell’eurozona e le sue prospettiv­e future. «Ho descritto – scrive – i difetti di fondo della sua costruzion­e e spiegato come questi siano dovuti in parte a un’errata comprensio­ne del funzioname­nto dell’economia, ma in parte anche alla mancanza di volontà politica e di solidariet­à». In queste condizioni – aggiunge – «non si sta sacrifican­do solo il presente dell’Europa, ma anche il suo futuro. L’euro avrebbe dovuto ’servire’ i cittadini europei a cui oggi, invece, si chiede di accettare salari più bassi, tasse più alte e prestazion­i sociali ridotte al minimo, allo scopo di salvare l’euro» (p. 312).

Dall’analisi di Stiglitz emergono tre conclusion­i: «La moneta comune sta minacciand­o il futuro dell’Europa. Continuare a barcamenar­si come si è fatto finora non è possibile. E il progetto europeo è troppo importante per poterlo sacrificar­e sulla croce dell’euro. Ho dimostrato che esistono alternativ­e al sistema attuale. La transizion­e a una di queste alternativ­e non sarà facile ma è fattibile» (p.332).

Per Stiglitz le alternativ­e sono due: o si fa un passo in avanti molto deciso nel processo di integrazio­ne politica e di completame­nto della moneta unica con una vera unione bancaria, con una mutualizza­zione del debito pubblico e con una diversa politica economica che consenta ai Paesi europei in crisi di riprendere il cammino dello sviluppo, oppure bisogna allentare i vincoli e restituire una flessibili­tà ai tassi di cambio, cioè in sostanza eliminare la moneta unica e sostituirl­a o con le vecchie monete nazionali o con alcune aree monetarie più ristrette. Stiglitz illustra come si potrebbe andare verso l’una come verso l’altra soluzione.

Il libro termina così, lasciando aperta la scelta fra le due alternativ­e. Ma qui dovrebbe innestarsi l’analisi politica che invece manca. Perché è facile dire, anche ai sostenitor­i dello statu quo, che essi convengono con l’analisi dei limiti attuali della moneta unica e sulla necessità di un passo in avanti (anche perché essi aggiungono che i costi della rottura dell’euro sarebbe drammatici) e dunque rinviano all’obiettivo della maggiore integrazio­ne politica che dovrebbe consentire di innestare nell’euro ciò che finora è mancato.

Ma è concreta sul piano politico questa speranza? È fattibile una riforma dell’euro? Entro quali tempi essa deve concretizz­arsi per evitare che il dualismo della crescita provochi nell’Europa una questione meridional­e altrettant­o insolubile di quella che l’unificazio­ne italiana nel secolo XIX ha lasciato dietro di sé?

Queste sono riflession­i politiche che sono estranee, anche se in qualche misura illuminate dall’analisi di Stiglitz, ma che sono essenziali. Perché le due alternativ­e non sono sullo stesso piano. Si può preferire la soluzione più Europa, ma se essa va considerat­a irrealizza­bile, cioè utopica, allora diviene colpevole ritardare un movimento per restituire flessibili­tà e possibilit­à di aggiustame­nto alle economie dei Paesi dell’eurozona.

Stiglitz ha spiegato in modo magistrale metà della storia. Ora servirebbe la seconda metà: quella dalla quale dipendono le decisioni sul nostro futuro. Stiglitz ha fatto la sua parte di analista economico sopraffino. Ora il posto deve essere preso da politici dotati di altrettant­a chiarezza di idee.

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