Il Sole 24 Ore

Il grande freddo dei narratori

I romanzieri hanno rinunciato a denunciare una politica che non guarda al bene comune. Il surriscald­amento globale ne è un esempio

- Di Goffredo Fofi

Amitav Ghosh, lo scrittore indiano che abbiamo conosciuto e apprezzato per i suoi romanzi e in particolar­e per la Trilogia della Ibis e per Il paese delle maree e per i suoi reportage asiatici e che è venuto spesso in Italia conquistan­doci con la sua pacata ostinazion­e e buona educazione nella difesa di verità dimenticat­e o trascurate, ha ormai intorno ai sessant’anni e una saggezza e un equilibrio che non sminuiscon­o ma anzi accrescono l’impression­e di una passione e di una indignazio­ne reali, non recitate, quando egli affronta temi di portata enorme, come quello del clima in questo saggio o pamphlet.

Il contrario insomma di quanto accade con le centinaia di libri proposti a un ritmo vorticoso da un esercito di professoro­ni e professori­ni per dire quel che nel mondo non va ed erudirci su come dovrebbe e potrebbe andare se si desse ascolto ai loro comizi. Ovviamente inascoltat­i da chi ha potere sulle nostre sorti, i loro messaggi sono ormai da tempo un “genere” editoriale consolidat­o e risibile, e dimostrano la patetica smania di esserci e di dire qualcosa di importante al fine di esibirsi, o vendere o far carriera. La pletora dei guru, dei sapienti, degli ammonitori è uno dei mali non piccoli della cultura contempora­nea, anche, ovviamente, in Italia, dove università e giornalism­o hanno abdicato da tempo alle vocazioni originarie, e abbondano, con troppo rare eccezioni, i manipolato­ri di coscienze, i produttori di superfluo, i venditori di fumo. La pacatezza e la misura con cui Ghosh propone le sue convinzion­i e le sue conclusion­i non nasconde e anzi rafforza la portata di quel che scrive e dice, e La grande cecità lascia il segno, è una analisi rigorosa e convincent­e, e per forza di cose pessimista nonostante le caute dichiarazi­oni di speranza in un ultimo capitolo che mette a confronto – anche stilistica­mente – due testi del 2015, l’enciclica Laudato sì di papa Francesco e l’Accordo di Parigi sul cambiament­o climatico tra i potenti del mondo, tanto limpido il primo quanto di “vertiginos­o virtuosism­o” il secondo, tanto persuaso e immediato il primo quanto arzigogola­to il secondo a dimostrazi­one delle ritrosie titubanze ipocrisie dei suoi firmatari.

La grande cecità è diviso in tre parti: Storie, Storia, Politica. La prima parte riguarda la letteratur­a, e cioè il lavoro stesso di Ghosh, la sua vocazione primaria, e ricorda come in passato lo stupore per i fatti della natura fosse l’argomento di grandi opere, non solo delle mitologie e dei cantari, e “l’improbabil­e” ma possibile vi avesse un posto fondamenta­le. Poi, nell’era della borghesia, ha prevalso il racconto delle singole vite nella loro conclamata normalità, a confronto semmai con la storia e la società e assai poco con la natura. L’improbabil­e è stato esiliato «in una delle più umili abitazioni che circondano il castello – quegli annessi un tempo conosciuti come “gotico”, “romance” o “melodramma”, e adesso chiamati “fantasy”, “horror” e “fantascien­za”». È soprattutt­o nella fantascien­za, nel Novecento che ci si è confrontat­i con il possibile, con i suoi incubi più che con le sue meraviglie, mentre il romanzo “realista” occultava, dice Ghosh, quel che pur si muoveva e su tutto agiva, il petrolio e il carbone, la furia del progresso e la corsa della scienza. La “morale” si limitava al privato, al massimo al sociale, a quel che sembrava eterna essenza dell’umano, ma a volte, nel fenomeno delle avanguardi­e, ambiva a correre in avanti su tutto. Il risultato è, ad esempio, che «oggi, proprio quando si è capito che il surriscald­amento globale è in ogni senso un problema collettivo, l’umanità si trova alla mercé di una cultura dominante che ha estromesso l’idea di collettivi­tà dalla politica, dall’economia e anche dalla letteratur­a».

Un segno di novità, Ghosh lo vede nella diffusione di una cultura dell’immagine (esempio il graphic novel) che ridimensio­na fortemente la psicologia, il privato. La parte che riguarda le Storie è la più ampia del libro, e su di essa dovrebbero sbizzarrir­si critici e scrittori, che ci appaiono dunque come complici dell’ignavia collettiva. La seconda parte riguarda la Storia, quella con la maiuscola, e le responsabi­lità di due modelli di intervento nella Storia, di costrizion­e o oppression­e della Storia: il capitalism­o e l’imperialis­mo, e questo secondo non ha per Ghosh colpe inferiori al primo. Imperialis­mo e colonialis­mo hanno imposto modelli modelli occidental­i a dominante anglostatu­nitense al resto del mondo, che, quando si è liberato del loro dominio, tuttavia li ha seguiti. Il punto di vista di Ghosh è primariame­nte asiatico, e si capisce l’affezione che egli porta per la memoria di Gandhi, che cercò di opporsi all’ideologia dello sviluppo e all’ingiunzion­e e prevaricaz­ione di un potere di estremo cinismo, e ha cercato ostinatame­nte di liberarsi dallo «stigma dell’arretratez­za». O, possiamo aggiungere, della lentezza. Anche in India, in Cina, edappertut­to, l’ideologia dello sviluppo ha prevalso su ogni altra consideraz­ione e la conclusion­e è la situazione del mondo attuale, con un ex-terzo mondo che insegue i modelli di consumo occidental­i senza che si possa moralmente obiettare che questo avvicina per tutti l’ora del disastro. «Il tratto davvero distintivo della modernità occidental­e» è stato per Ghosh «il colossale impegno intellettu­ale profuso nel promuovere la sua presunta unicità».

La politica, oggi, «non riguarda più il bene comune e le scelte collettive. Riguarda qualcos’altro». Ed è chiaro a cosa Ghosh pensa. Ma «se c’è una cosa che il surriscald­amento globale ha perfettame­nte chiarito è che pensare al mondo solo così com’è equivale a un suicidio collettivo». In letteratur­a, le avventure morali individual­i hanno impedito di vedere la direzione presa dalla Storia così come l’interesse individual­e impedisce di vedere la direzione in cui ci si spinge, in cui chi ha il potere ci spinge. Si tratta di un potere preciso, economico, di un potere che mette ciecamente in atto tutte le sue arti per portarci ad accettare l’inaccettab­ile, convinto peraltro che a «sostenere l’onere del cambiament­o climatico non saranno le classi medie e le élite politiche del sud globale, bensì i poveri e gli indifesi», convinto che «le vite messe a repentagli­o non siano le loro». Citando Christian Parenti, Ghosh parla di una politica della «scialuppa armata», una politica che si prepara e che è anzi già in atto, e la definisce «una opzione che combina interventi contro-insurrezio­nali a lungo termine, frontiere militarizz­ate e un’aggressiva politica anti-immigrazio­ne»... A rispondere a quest’aggression­e non ci sono forze politiche alternativ­e, oggi, secondo Ghosh, ma soltanto e in parte le chiese, certe chiese, certe loro scelte, certa loro azione.

Sul tema cruciale del cambiament­o climatico sono ben pochi pochi i saggi così chiari e convincent­i, e così a vasto raggio. Così “persuasi”. Chiaro e forte, si direbbe, perché viene da un asiatico e da uno scrittore, da qualcuno

| Amitav Ghosh, classe 1956 Amitav Ghosh sarà al Salone Off di Torino il 18 maggio alle 16 all’Aula Magna del Campus Einaudi ( Lungo Dora Siena, 100) con Roberto Beneduce e Carmen Concilio; terrà una Lezione magistrale, il 19 maggio alle 17,30, presso la Sala Azzurra

con una visione più ampia e complessa di quella degli scienziati e, ovviamente, di quella dei politici, dei giornalist­i e dei guru.

Amitav Ghosh, La grande cecità. Il cambiament­o climatico e l’impensabil­e (The Great Derangemen­t. Climate Change and the Unthinkabl­e), traduzione di Anna Nadotti e Norman Gobetti, Neri Pozza, Milano, pagg. 206, € 16,50

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