Una voce milanese
Non sarà la prima né l’ultima occasione, d’accordo, ma di fronte alla morte di Antonio Steffenoni, scrittore milanese scomparso giovedì scorso nella sua città, ci troviamo ancora una volta a riflettere sul misterioso meccanismo di inclusione ed esclusioni che governa il mondo letterario.
Nato a Milano nel 1947 da madre spagnola e padre italiano, Steffenoni, è stato infatti prosatore di notevole qualità, che ha profuso in tanti libri di narrativa, e tuttavia è sempre rimasto ai margini, per lo più ignorato dal circuito di recensioni e festival. Peccato: una maggiore notorietà sarebbe stata un giusto premio per un’attività durata oltre quarant’anni. Steffenoni aveva infatti esordito giovanissimo presso Rizzoli con il romanzo Una sola paura, finalista al Viareggio, subito seguito da Un’ora d’aria. L’accoppiata lo aveva inserito, appena trentenne, nel novero delle promesse dell’epoca; poi però, nella Milano degli anni 80 dominati dal terziario, il suo lavoro di pubblicitario lo aveva interamente assorbito per un quindicennio. Poi il richiamo della scrittura era tornato, anche se in pratica si era trattato di un nuovo esordio.
Questo secondo periodo è stato comunque prolifico e felicissimo, segnato da personaggi cosmopoliti che si muovevano su scenari di mezza Europa, da Barcellona alla Costa Azzurra. In quei libri - particolarmente riusciti i racconti di Sono qui per dirti addio - Steffenoni ha saputo allora creare un universo polifonico e convincente, sempre sostenuto da una scrittura intensa. La stessa che lo ha accompagnato negli anni recenti, quando è tornato ad ambientazioni milanesi, in particolare per un ciclo di gialli con protagonista l’acuto e un po’ indolente commissario Ernesto Campos: una scusa per ritrarre nel profondo quella Milano che amava, ma di cui sapeva ben vedere anche vizi e difetti. È il caso dell’ultimo romanzo, Un delitto molto milanese (Rizzoli), del 2014, che a Milano fu anche nella classifica dei libri più venduti.