Democratico ma aristocratico
L’Etica nicomachea si chiude con queste parole: «I nostri predecessori lasciarono indiscusso ciò che riguarda il governo, per portare a compimento la filosofia dell’uomo. Perciò dal confronto dei diversi governi cercheremo di studiare quali cose salvaguardano e quali danneggiano le città; quali forme di governo si reggono bene e quali no, e per quali cause. Così, forse, discerneremo meglio quale forma di governo è la migliore». In tal modo il filosofo delinea il grande progetto della Politica, che si fonderà sulla ricerca e sull’analisi delle diverse forme di costituzioni che ressero le città greche nella loro evoluzione.
Come racconta Diogene Laerzio nella bibliografia aristotelica data nel V libro delle Vite dei più illustri filosofi, quella ricerca ne adunerà 158. A noi non è giunta che La costituzione degli Ateniesi, in due papiri egiziani rinvenuti nel 1879 e ora a Berlino e a Londra. Da lì la prima edizione, del gennaio 1891, e ora un’imponente edizione italiana della Fondazione Valla a cura di P.J. Rhodes, autore già del commento dell’edizione oxfordiana dell’81. L’interesse del testo, certamente il più importante fra tutti per l’importanza della città e la vicinanza ad essa dell’Autore, risiede non solo e non tanto nell’iniziale tracciato storico delle varie forme costituzionali succedutesi ad Atene dopo l’età regia: la riforma legislativa di Dracone alla fine del VII secolo, a cui successe quella di un poeta del ceto medio, Solone; quindi la tirannide di Pisistrato e dei suoi figli; poi Clistene e la ripresa della democrazia all’inizio del V secolo, così come la successiva restaurazione democratica di Trasibulo succederà, a fine secolo, al regime dispotico dei Trenta Tiranni.
Complessivamente undici mutamenti istituzionali, in cui si alternarono tutti i governi praticabili e teorizzabili, nella loro purezza e nella loro corruzione, dai più antichi a quest’ultimo, dove «si estende continuamente il potere della massa». E vi sono contenuti e si scorgono tutti i meccanismi della politica. Da questo punto, a metà dell’opera, analizzando il governo ateniese contemporaneo, i suoi organi, le magistrature, le loro competenze e attività, Aristotele dispiega più o meno scopertamente anche il ventaglio del suo pensiero, pur condizionato qui dai testi delle fonti e poi raggiunto e chiarito nella Politica: «Non conviene che il supremo potere sia presso la moltitudine, poiché i molti, essendo generalmente poco virtuosi, agirebbero spesso ingiustamente. D’altra parte è ingiusto escludere la moltitudine da tutte le cariche e gli uffici, perché gli esclusi diventano nemici della società… I molti uniti insieme e misti con i migliori ge- neralmente giovano alla società più che i soli migliori, come giova più alla salute un cibo abbondante anche se misto con impurità, che un cibo puro ma esiguo» (libro III).
Ad Atene, nell’assetto costituzionale finale, godono dei diritti politici tutti i cittadini, ossia i nati da genitori entrambi cittadini, e inscritti a diciotto anni nelle liste elettorali. La loro partecipazione alla vita politica è, oltreché un diritto, un dovere, imposto dall’antico Solone. Egli, siccome nei conflitti civili alcuni dei cittadini lasciavano per indolenza che le cose andassero dove andavano, stabilì per legge che «chi non prende le armi per l’una o per l’altra parte sia privato dei diritti e non faccia più parte della città». Detentore di ogni prerogativa è il popolo; esso amministra tutto con decreti dell’assemblea e con i tribunali, dove domina incontrastato. Democratico ma di gusto aristocratico, lo Stagirita aborre gli estremi, addita le degenerazioni, del regime popolare in quello della 3 moltitudine, come dell’aristocrazia in oligarchia. Addita la corruzione della retta condotta provocata dai capipolo, come Cleone che per primo «urlò dalla tribuna e arringò il popolo indossando una veste allacciata alta»; o Cleofonte, «un fabbricante di lire». Non più prospettive storiche lungimiranti ma sfrontate adulazioni del popolino e attenzione alla sola situazione immediata; per cui si può pensare che i migliori governanti fossero stati quelli antichi. Quanto all’attuale costituzione ateniese, essa è presentata in questo opuscolo al vivo e fin nei minimi dettagli.
Quello ateniese è uno Stato in cui libertà e uguaglianza si spingono fino alle elezioni per votazione popolare o addirittura per sorteggio non solo delle cariche politiche ma anche delle giudiziarie. Il potere giudiziario è ben distinto da quello politico, dal giorno in cui il Consiglio dei Cinquecento condannò a morte un Lisimaco e lo consegnò al boia per l’esecuzione, ma Eumelide del demo di Alopece lo fermò affermando che nessun cittadino deve morire senza la sentenza di un tribunale, e nel processo Lisimaco uscì assolto: per cui il popolo tolse al Consiglio il potere di incarcerare e multare chicchessia. E ancora, il popolo stabilisce le autorità incaricate dei sacrifici ad Artemide e ad Ares, della direzione dei concorsi musicali e ginnici e della corsa dei cavalli: «di cui questi sono i premi: argento e oro per i vincitori dell’agone musicale, scudi per chi prevale nella gara di forza virile, olio per i vincitori nella gara ginnica e nella competizione equestre».
Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, a cura di P.J. Rhodes, traduzione di A. Zambrini, T. Gargiulo e P.J. Rhodes, Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori, Milano, pagg.166, € 35