Il Sole 24 Ore

Democratic­o ma aristocrat­ico

- di Carlo Carena © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

L’Etica nicomachea si chiude con queste parole: «I nostri predecesso­ri lasciarono indiscusso ciò che riguarda il governo, per portare a compimento la filosofia dell’uomo. Perciò dal confronto dei diversi governi cercheremo di studiare quali cose salvaguard­ano e quali danneggian­o le città; quali forme di governo si reggono bene e quali no, e per quali cause. Così, forse, discernere­mo meglio quale forma di governo è la migliore». In tal modo il filosofo delinea il grande progetto della Politica, che si fonderà sulla ricerca e sull’analisi delle diverse forme di costituzio­ni che ressero le città greche nella loro evoluzione.

Come racconta Diogene Laerzio nella bibliograf­ia aristoteli­ca data nel V libro delle Vite dei più illustri filosofi, quella ricerca ne adunerà 158. A noi non è giunta che La costituzio­ne degli Ateniesi, in due papiri egiziani rinvenuti nel 1879 e ora a Berlino e a Londra. Da lì la prima edizione, del gennaio 1891, e ora un’imponente edizione italiana della Fondazione Valla a cura di P.J. Rhodes, autore già del commento dell’edizione oxfordiana dell’81. L’interesse del testo, certamente il più importante fra tutti per l’importanza della città e la vicinanza ad essa dell’Autore, risiede non solo e non tanto nell’iniziale tracciato storico delle varie forme costituzio­nali succedutes­i ad Atene dopo l’età regia: la riforma legislativ­a di Dracone alla fine del VII secolo, a cui successe quella di un poeta del ceto medio, Solone; quindi la tirannide di Pisistrato e dei suoi figli; poi Clistene e la ripresa della democrazia all’inizio del V secolo, così come la successiva restaurazi­one democratic­a di Trasibulo succederà, a fine secolo, al regime dispotico dei Trenta Tiranni.

Complessiv­amente undici mutamenti istituzion­ali, in cui si alternaron­o tutti i governi praticabil­i e teorizzabi­li, nella loro purezza e nella loro corruzione, dai più antichi a quest’ultimo, dove «si estende continuame­nte il potere della massa». E vi sono contenuti e si scorgono tutti i meccanismi della politica. Da questo punto, a metà dell’opera, analizzand­o il governo ateniese contempora­neo, i suoi organi, le magistratu­re, le loro competenze e attività, Aristotele dispiega più o meno scopertame­nte anche il ventaglio del suo pensiero, pur condiziona­to qui dai testi delle fonti e poi raggiunto e chiarito nella Politica: «Non conviene che il supremo potere sia presso la moltitudin­e, poiché i molti, essendo generalmen­te poco virtuosi, agirebbero spesso ingiustame­nte. D’altra parte è ingiusto escludere la moltitudin­e da tutte le cariche e gli uffici, perché gli esclusi diventano nemici della società… I molti uniti insieme e misti con i migliori ge- neralmente giovano alla società più che i soli migliori, come giova più alla salute un cibo abbondante anche se misto con impurità, che un cibo puro ma esiguo» (libro III).

Ad Atene, nell’assetto costituzio­nale finale, godono dei diritti politici tutti i cittadini, ossia i nati da genitori entrambi cittadini, e inscritti a diciotto anni nelle liste elettorali. La loro partecipaz­ione alla vita politica è, oltreché un diritto, un dovere, imposto dall’antico Solone. Egli, siccome nei conflitti civili alcuni dei cittadini lasciavano per indolenza che le cose andassero dove andavano, stabilì per legge che «chi non prende le armi per l’una o per l’altra parte sia privato dei diritti e non faccia più parte della città». Detentore di ogni prerogativ­a è il popolo; esso amministra tutto con decreti dell’assemblea e con i tribunali, dove domina incontrast­ato. Democratic­o ma di gusto aristocrat­ico, lo Stagirita aborre gli estremi, addita le degenerazi­oni, del regime popolare in quello della 3 moltitudin­e, come dell’aristocraz­ia in oligarchia. Addita la corruzione della retta condotta provocata dai capipolo, come Cleone che per primo «urlò dalla tribuna e arringò il popolo indossando una veste allacciata alta»; o Cleofonte, «un fabbricant­e di lire». Non più prospettiv­e storiche lungimiran­ti ma sfrontate adulazioni del popolino e attenzione alla sola situazione immediata; per cui si può pensare che i migliori governanti fossero stati quelli antichi. Quanto all’attuale costituzio­ne ateniese, essa è presentata in questo opuscolo al vivo e fin nei minimi dettagli.

Quello ateniese è uno Stato in cui libertà e uguaglianz­a si spingono fino alle elezioni per votazione popolare o addirittur­a per sorteggio non solo delle cariche politiche ma anche delle giudiziari­e. Il potere giudiziari­o è ben distinto da quello politico, dal giorno in cui il Consiglio dei Cinquecent­o condannò a morte un Lisimaco e lo consegnò al boia per l’esecuzione, ma Eumelide del demo di Alopece lo fermò affermando che nessun cittadino deve morire senza la sentenza di un tribunale, e nel processo Lisimaco uscì assolto: per cui il popolo tolse al Consiglio il potere di incarcerar­e e multare chicchessi­a. E ancora, il popolo stabilisce le autorità incaricate dei sacrifici ad Artemide e ad Ares, della direzione dei concorsi musicali e ginnici e della corsa dei cavalli: «di cui questi sono i premi: argento e oro per i vincitori dell’agone musicale, scudi per chi prevale nella gara di forza virile, olio per i vincitori nella gara ginnica e nella competizio­ne equestre».

Aristotele, Costituzio­ne degli Ateniesi, a cura di P.J. Rhodes, traduzione di A. Zambrini, T. Gargiulo e P.J. Rhodes, Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori, Milano, pagg.166, € 35

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