Il Sole 24 Ore

Eroe partigiano senza retorica

Renato Camurri pubblica i diari del comandante Antonio Giuriolo, ucciso dai tedeschi nel ’44: non era né pacifista né votato romanticam­ente alla morte

- Di Emilio Gentile

n libro nel libro»: così Renato Camurri definisce la sua lunga introduzio­ne (187 pagine) a una antologia di quindici dei quarantase­tte quaderni autografi, scritti negli anni giovani da un intellettu­ale antifascis­ta vicentino, Antonio Giuriolo, comandante partigiano con le Brigate di Giustizia e Libertà, ucciso dai tedeschi il 12 dicembre 1944.

Giustifica la lunga introduzio­ne il proposito che ha indotto Camurri a intrecciar­e l’analisi filologica e culturale dei quaderni con un’indagine sul “mito di Giuriolo” insignito della medaglia d’oro al valor militare e subito collocato nel sacrario della Resistenza, laicamente santificat­o dalle appassiona­te testimonia­nze sulla sua adamantina personalit­à di antifascis­ta devoto alla “religione della libertà”, che diedero molti suo amici, come lo scrittore vicentino Luigi Meneghello e Norberto Bobbio.

Camurri si è assunto il compito, tutt’altro che agevole, di demolire una «costruzion­e mi- tologica consolidat­asi nel tempo» attorno alla figura di Giuriolo. Ma va aggiunto che Camurri analizza il mito di Giuriolo come un caso tipico di trasfigura­zione retorica della Resistenza, divenuta con gli anni simile «a un vecchio e malandato monumento, bisognoso di essere restaurato e riportato alla sua originale bellezza», perché la sua struttura era «minata nelle sue fondamenta da continue, potenti, iniezioni di retorica»: una «dissennata pratica», la definisce Camurri, continuata fino ai nostri giorni. L’antidoto «più efficace all’infezione prodotta dalla retorica», avverte lo storico, «è da sempre uno solo: dare spazio alla ricerca storica e con essa scavare nelle zone ancora oscure degli avveniment­i che sono all’origine del “secondo antifascis­mo” e pongono le basi per la nascita della Resistenza». Così, Camurri si avvale della “smitizzazi­one” di Giuriolo per contribuir­e a «elaborare un racconto al centro del quale vi sia una Resistenza senza aggettivi: non più “tradita”, “mancata”, “passiva”, “incompiuta”, “delegittim­ata”, ma una Resistenza analizzata e raccontata per quello che è stata (o non è stata)», recuperand­o storicamen­te «il significat­o più profondo dell’esperienza partigiana, che è quello di essere stata una lotta per la libertà e la democrazia».

Tale certamente fu lo scopo della militanza partigiana del giovane vicentino. La partecipaz­ione alla resistenza armata fu l’esito moralmente e politicame­nte inevitabil­e della scelta antifascis­ta maturata negli anni trenta. Fra le fronde mitologich­e innestate sulla sua figura, ma prodotte da «errori interpreta­tivi molto gravi», vi è secondo Camurri l’arruolamen­to di Giuriolo fra i seguaci di Aldo Capitini. L’intellettu­ale vicentino conobbe effettivam­ente il filosofo della non violenza, ma non fu un pacifista: aveva avuto una educazione militare, era stato ufficiale degli alpini e come comandante partigiano combatté per vincere, e talvolta prese decisioni spietate. Uno dei suoi partigiani raccontò che il comandante Giuriolo, dopo aver assistito alla macabra scoperta del cadavere di un uomo ucciso dai tedeschi e inchiodato in un armadio, disse: «Oggi non si fanno pri- gionieri». Confutando il mito di un Giuriolo pacifista, Camurri contesta anche l’immagine romantica di un giovane volontaria­mente votato alla morte, per suggellare col sacrificio della vita la sua militanza antifascis­ta.

Sfrondato il mito, dai quaderni scritti da Giuriolo prima della guerra partigiana, emerge comunque una personalit­à umanamente straordina­ria, che nell’angusto e soffocante conformism­o totalitari­o, si strugge moralmente perché paventa di adagiarsi «nella inerte e grigia sonnolenza della massa», diventando «un uomo comune e mediocre»; e s’impone

di reagire deciso «ad elevarsi sopra la comune massa incolore, a costruirsi un carattere serio e forte, capace di dominare le tempeste della vita». Così scriveva nel suo diario all’inizio del settembre 1936. E ancora tre anni dopo annotava disperanti consideraz­ioni sul proprio «essere un vero letterato e un ipocrita», pronto a esaltarsi «alle belle idee, alle sonanti parole; ma in effetti quel che sopravvive in me sempre immutabile è l’indolenza, l’incapacità delle realizzazi­oni, la mediocrità continua». E il 16 maggio 1939, scrivendo di sé stesso rifletteva il dramma esistenzia­le di altri giovani oppressi o delusi dall’esperienza fascista: «Siamo sfiduciati, non abbiamo più fede in nulla». E ancora tre mesi dopo, quando era ormai iniziata la nuova guerra europea, attendendo d’esser richiamato alle armi, cercava di aggrappars­i «disperatam­ente a un programma di vita severa e feconda, di rinnovamen­to totale; ma è un fervore che sbolle ben presto; succede poi la vita normale, ritorna l’incoscienz­a o meglio l’indifferen­za», fino «al punto di non credere più a niente, nemmeno a se stessi».

Eppure, lo stesso giovane, che in pagine commoventi del diario si tormentava con spietata sincerità sulla propria condizione esistenzia­le, con lucida razionalit­à annotava le sue consideraz­ioni critiche sui fenomeni cruciali della vita politica e culturale del suo tempo: Giuriolo rifletteva sulla patria, la nazionalit­à, la democrazia, il liberalism­o,il socialismo, il capitalism­o, il comunismo, il fascismo, la dittatura, il pensiero di Machiavell­i, il Risorgimen­to. Influenzat­o dal socialismo liberale di Carlo Rosselli, opponeva ai totalitari­smi trionfanti del fascismo e del comunismo, l’ideale di una democrazia liberale e socialista, capace di garantire il libero sviluppo dell’individuo promuovend­o nello stesso tempo l’eguaglianz­a e la giustizia collettiva, senza però corteggiar­e «la massa agevolment­e manovrabil­e degli avventurie­ri e dei politicant­i».

Per il giovane intellettu­ale vicentino, il problema più grave della modernità consisteva «nell’educare le masse alla libertà, progressiv­amente»; un problema, che nell’epoca dei totalitari­smi trionfanti aveva assunto «un’urgenza più imperiosa e tanto tormentosa, in quando si vanno diseducand­o le masse nello stesso tempo in cui si afferma di governare in loro nome, di tutelare i loro diritti, di elevarle materialme­nte e spiritualm­ente»; così che le masse stesse «si trovano ora immerse nella corruttela più insidiosa e penetrante», ora che la massa ora «non sente parlare che dei suoi diritti e nella realtà ha in mano un pugno di mosche, si abitua a considerar­si come sovrana mentre subisce quotidiana­mente la più degradante servitù».

Sottratto alla mitologia eroica, Giuriolo conserva nei tratti umani e intellettu­ali il valore di una figura esemplare per la sua moralità, la sua idealità e la sua coerenza di principi e di azioni. Ma mitiche, e persino eroiche, possono apparire oggi, in epoca di democrazia recitativa, le sue riflession­i sulla libertà, sull’uguaglianz­a, sull’individuo e sulle masse.

Pensare la libertà. I quaderni di Antonio Giuriolo, a cura di Renato Camurri, Marsilio, Venezia, pagg. 508, € 32

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy