Rivoluzioni di linguaggi artistici
Non potrebbe esserci titolo più evocativo, più vicino alla città. Perché «Il rumore del tempo», il motto che sigla la nuova edizione di Ravenna Festival, per l’estate consecutiva numero ventotto, rimanda sì al recente libro su Šostakovič di Julian Barnes, a sua volta ispirato alle poesie brevi di Mandel’stam, ma scorporato da ogni riferimento letterario, sembra invece raccontare in sintesi perfetta quel particolare tappeto sonoro che avvolge qui, immancabile, all’arrivo: quando il tempo, coi suoi rumori esterni, sembra sbriciolarsi, e quello che si staglia è il profilo solido di una Ravenna antica, silenziosa, coi suoi teatri, chiese, chiostri, biblioteche, contenitori ideali per le tappe del Festival. Dove la tomba di Dante, defilata ma sempre presente (mentre appare di scorcio tra le vie principali) ruota come perno tra passato e presente.
Da Dante non può che partire il lungo cartellone di Ravenna Festival: «Inferno» (dal 25 maggio al 3 luglio, tutti i giorni, tranne il lunedì) è infatti l’ampio progetto teatrale, commissionato a Marco Martinelli e Ermanna Montanari, che per 34 sere – quante i canti della prima parte della «Commedia» – si scioglierà tra le vie cittadine, approdando al Teatro Rasi. Con cadenza simile, cioè distribuiti lungo tutta la durata del Festival, saranno anche tre altri fili rossi del programma: quello ai Chiostri francescani, ogni mattina alle 11, in collaborazione con la Società Dante Alighieri; quello serale dei Vespri, alle 19, nella Basilica di San Vitale; e quello domenicale delle liturgie nelle Basiliche. Cinque, queste ultime, siglate sotto il fregio di «In templo Domini», che daranno canto a creature preziose, quali la rinascimentale «Missa Ducalis a 13 voci» di Costanzo Porta (in Sant’Apollinare Nuovo, il 4 giugno) piuttosto che la Liturgia di San Giovanni Crisostomo (il 25 giugno, con il Coro del Patriarcato Ortodosso di Mosca).
Punteggiato dalle colonne portanti di cinque concerti sinfonici (direttori Bychkov, Slatkin, Valčhua, Temirkanov e Muti) il Festival si dispiega sui diversi fronti del teatro, della danza e della musica, antica e da camera. Il primo centenario della Rivoluzione d’ottobre diventa il motore per una serie di “rivoluzioni” in musica, dove è d’obbligo Šostakovič, con il «Quartetto n. 8» affidato al Quartetto Noûs, e la «Sinfonia n.7», con la Filarmonica di Pietroburgo. Ma dove con audacia gli si accosta l’invenzione controcorrente del barocco di Corelli. Come sempre, poi, si va a Ravenna per mettersi in viaggio: virtualmente, col debutto italiano di «Vittoria sul sole» (1913) capolavoro del futurismo russo di Mihail V.Matjušin; e poi concretamente volando a Teheran, per la ventesima «Via dell’amicizia», attraverso la musica. (Carla Moreni)