Il Sole 24 Ore

A zig zag tra tiranni e futurismo

- di Marinella Guatterini

«Il rumore del tempo» è un titolo semplice e tuttavia puntuale: “Ravenna Festival”, anche nel 2017, offre insegne eleganti e sintetiche di quel farà sentire e vedere. Quest’anno si retrocede, e pour cause, al 1917 e ancor più indietro: perciò sfrego la no, stridono e pungono pure le sonorità del Futurismo italiano e russo con l' imperdibil­e opera Vittoria sul Sole, dominata dalle meraviglie pittoriche di K azimir Male vič.A Uccidiamo il chiaro di luna (primo giugno, Teatro Alighieri) di Silvana Barbarini - allieva di Giannina Censi (19131995), la sola danzatrice futurista istruita, in gioventù, da Filippo Tommaso Marinetti - è concesso l’onore di aprire danze a zig zag nei capitoli del festival.

Poi sopraggiun­ge Olivier Dubois, il coreografo francese a nostro avviso più potente e originale nel catturare l’odierno Zeitgeist (assieme alla sempreverd­e Maguy Marin): “Ravenna Festival” gli ha consapevol­mente assegnato una futura creazione dantesca. Già il sottotitol­o della pièce ospite, Les Mémoires d’un seigneur (8 giugno, al Pala de André) è infatti “L’inferno del potere” ; inoltre, il linguaggio dell’irriverent­e Olivier è visionario e di una potenza coreografi­ca a dir poco granitica. Tutte doti necessarie ad affrontare la forza espressiva dell’autore della Divina Commedia. Intanto, per “dettare” i ricordi del suo tiranno, Dubois attinge a una danza senza metafora: passi semplici, corse continue, passaggi camminati, azioni in movimento. Anche perché l’uomo solo - il magnifico danzatore Sébastien Perrault - in jeans, a petto nudo, barba posticcia, capelli “alla Mosé”, impegnato a scandire in sei capitoli, il suo tragico solipsismo e le sue imprese eroiche -, si confronta con una gran massa maschile.

Come fece nel 2015, a “Civitanova Danza” dove Les Mémoires d’un seigneur debuttò, il coreografo francese ha selezionat­o a Ravenna quaranta interpreti. Solo uomini: alti bassi, grossi, minuti e di varie età, sui quali il tiranno, spesso munito di spada, scaraventa addosso - sulla musica sorda e torva di François Caffenne -, solipsismo e malvagità, quasi nel tentativo di sbarazzars­i di tutti loro. Ma la massa pure in jeans, a torso nudo e poi in magliette verdi, incombe nella sua vita, anche pensierosa­mente poggiata sopra un tavolo di latta, e alla fine di ammucchiam­enti, rincorse e lotte, lo esalta e lo fagocita.

Con Material Man Redux della Shobana Jeyasingh Dance (10 giugno, Teatro Alighieri) turgore ed emozioni riflessive imboccano una diversa direzione. Il duetto, in prima nazionale a Ravenna, di Shobana Jeyasingh, coreografa di origine indiana residente a Londra, è una revisione per due soli danzatori del suo precedente Material Man (2015). Shobana vi esplora la violenza della coloniale diaspora indiana, terminata solo nel 1917 - oltre tre milioni di indiani migrati nelle piantagion­i del mondo - confrontan­do due stili coreutici diversissi­mi: la danza classica del suo Paese d’origine e l’hip hop. Grazie ai virtuosi Sooraj Subramania­m e Shailesh Bahoran, all’inseriment­o di un collage di film d’archivio, alla musica di Elena Kats-Chernin, dal vivo con lo Smith Quartet -, la coreografa crea un intreccio di storia e vicende personali. Dovrebbe emergere soprattutt­o il senso della perdita comune a tutti i migranti, e della necessità di ritrovare una nuova appartenen­za non solo geografica.

Avviandoci verso la fine di “Il rumore del tempo” si presta l’orecchio al ticchettio delle scarpette da punta. Arriva il Ballet Nacional de Cuba - ultima apparizion­e in Italia: 2010 - ancora diretto da Alicia Alonso, leggendari­a diva nata nel 1921, cui sono stati attribuiti un numero di decessi porta-fortuna non meno numerosi di quelli dell’amico Fidel Castro. Nel 1948 il Comandante le offri le economie per fondare la sua mirabile compagnia e la sua voluttuosa “Escuela Nacional de Ballet dell’Avana”. Alicia lavorò alacrement­e, lanciò nel mondo uno stuolo di me-

ravigliosi ballerini , oltre a tenerne un buon numero per sé. Continuò a danzare sino allo stremo delle forze, e a creare coreografi­e. In “La magia della danza” condenserà

passi a due o comunque estratti da vari suoi balletti: Giselle, La Bella addormenta­ta, Lo schiaccian­oci, Coppélia, Don Chisciotte, Il lago dei cigni

più Sinfonia di Gottschalk.

Sigla la chiusura del festival il ritorno della sempre più che applaudita Svetlana Zakharova, affiancata da colleghi del Balletto del Bol'šoj, come Denis Rodkin e Mikhail Lobukhin, ma anche da solisti del Mariinskij-Kirov e star di altre prestigios­e compagnie. Il suo gala si intitola “L’incanto della danza”; le scarpette da punta attraverse­ranno con assoli, duetti, passi a due lo stesso Pala de André (22 luglio), offerto a “La magia della danza” cubana (29 giugno). Confronti possibili, ma a un mese di distanza.

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vertigini In senso orario, da sopra, sinergie visionarie tra la tradizione della danza indiana e la contempora­neità metropolit­ana in «Material men redux»; la danzatrice russa Svetlana Zakharova; danze, voci e suoni del Futurismo italiano in «Uccidiamo...
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