Il Sole 24 Ore

Tutte le donne di Berenson

Una nuova biografia dello storico dell’arte affronta la vita e le imprese profession­ali del conoscitor­e mettendo in luce anche i suoi rapporti con l’universo femminile

- di Marco Carminati

Roberto Longhi (1890- 1970) e Federico Zeri (1921-1998) sono stati due celebri storici dell’arte del Novecento, ma nonostante la loro chiara fama un singolare destino li accumuna: nessun biografo italiano o straniero s’è sentito in obbligo di tratteggia­re in un libro a tutto tondo la vita e la profession­e di questi due rilevanti personaggi. Eppure i tempi “tecnici” ci sarebbero stati: Longhi è passato a miglior vita da quasi cinquant’anni, Zeri da quasi venti.

Un fenomeno diametralm­ente opposto ha interessat­o invece il terzo mastodonte della storia dell’arte italiana del Novecento, il lituano-americano Bernard Berenson (1865-1959). Attorno a lui, al contrario, si sono assiepati numerosi biografi, da Sylvia Sprigge (1960) a Nicky Mariano (1966), da Meryle Secrest (1979) a Ernest Samuels (1979 e 1989). Cinque biografie sono davvero un bel traguardo, ma evidenteme­nte non sono bastate. Di recente se n’è aggiunta una sesta, scritta nel 2013 da Rachel Cohen per la Yale University Press e recensita su queste pagine da Alvar González-Palacios. Dal 18 maggio la biografia della Cohen sarà disponibil­e anche in italiano, edita da Adelphi nella collana «I Casi» e tradotta di Mariagrazi­a Cini.

La novità di questo piacevolis­simo profilo biografico sta nell’originalit­à del taglio: la vita di Berenson viene ripercorsa in ogni dettaglio, dall’oscura nascita in Lituania alla formazione americana, dai viaggi di studio alle pubblicazi­oni, dalle lucrose attività commercial­i legate all’attribuzio­nismo alla fastosa residenza in Italia. Ma vengono messi in luce anche aspetti particolar­i: a suo tempo, Alvar González-Palacios rilevò il rapporto dello studioso con ebraismo d’origine. Ma è possibile anche osservare un ulteriore filone: ad esempio, il serrato (e spesso complesso) rapporto che lo studioso ebbe con le donne.

L’esistenza di Berenson è stata effettivam­ente costellata di presenza femminili, dalle sorelle Senda e Bessie alla mecenate Isabella Stewart Gardner, dalla compagna e moglie Mary Smith Costelloe all’amante Belle de Costa Greene (la biblioteca­ria di J. P. Morgan), dall’amica scrittrice Edith Wharton alla collaborat­rice e ultima compagna Nicky Mariano (biblioteca­ria e angelo custode negli ultimi anni di vita). Le donne di Berenson hanno lasciato molte testimonia­nze sulla vita quotidiana dello studioso in grado di comporre un ritratto forse più completo e certamente più sincero del grande e complicato personaggi­o.

Sappiamo che Berenson fece di tutto per nascondere le sue umili origini. Il suo vero nome era Bernhard Valvrojens­ki ed era nato in Lituania nel 1865 da una famiglia ebrea gremita di donne: oltre alla madre Judith, c’erano le sorelle Senda, Bessie e Rachel. Il fratello Abie, e soprattutt­o il padre Albert, giocarono ruoli meno determinan­ti. Anzi, il giovane Berenson fece subito intendere di non volere diventare come il padre, un intellettu­ale frustrato che – una volta trasferito­si a Boston con tutta la famiglia e mutato il cognome in Berenson - per campare s’era messo a vendere pentole a domicilio. Bernard adorava in particolar­e la sorella Senda perché si dimostrò capace di raggiunger­e il successo: fu la prima donna a organizzar­e partite di pallacanes­tro femminili negli Stati Uniti e fu paladina della diffusione dello sport e dell’attività fisica tra le donne nel suo Paese.

Berenson - spesso fortemente competitiv­o e diffidente nei confronti degli uomini - si protese con slancio verso l’universo femminile: «Le donne – scrisse –, specialmen­te certe donne dell’alta società, sono più ricettive, più sensibili e, di conseguenz­a, più stimolanti». Detto fatto. Appena iscrittosi all’Università di Har-

vard si accompagnò con una certa Elizabeth dotata «di patrimonio e di cultura» (ebbe a specificar­e), e con lei visitò romanticam­ente il Museum of Fine Arts di Boston allora appena aperto.

Anche sul proprio futuro Berenson dimostrò presto di avere le idee chiare. Tre gli obiettivi da perseguire: passare la vita a osservare dipinti, diventare ricco, diventare uno scrittore. Due cose gli riuscirono benissimo: passò l’esistenza a esaminare quadri e, grazie a redditizie consulenze, divenne ricchissim­o. Ma non riuscì a diventare un grande e celebrato scrittore(e la cosa gli pesò moltissimo).

Nei primi due campi, tuttavia, ebbe di che consolarsi. Ostacolato all’università dal professore di storia dell’arte Charles Eliot Norton - che tramò perché non gli venisse assegnata una borsa di studio -, il giovane Berenson ebbe la fortuna di incontrare due donne decisive: la collezioni­sta e mecenate Isabella Stewart Gardner e la scrittrice e storica dell’arte Mary Smith Costelloe. Queste due donne giganteggi­ano nel terzo capitolo del libro di Rachel Cohen. Isabella Stewart Gardner era ricchissim­a, curiosa e decisament­e fuori dalle righe: indossava abiti spaventosa­mente costosi e girava con diademi di diamanti in testa a forma d’antenna tendendo cuccioli di leone al guinzaglio. Inoltre, adorava essere circondata da una piccola corte di pupilli, possibilme­nte giovani e talentuosi. Berenson entrò a far parte del suo salotto esclusivo e ottenne da lei i finanziame­nti per un lungo viaggio di studio nei musei d’Europa. Dopo un’iniziale difficoltà, Berenson si innamorò perdutamen­te dell’Europa e scrisse lettere e cartoline alla mecenate Isabella e alla sorella Senda (in questa corrispond­enze cominciò a siglarsi «BB», iniziali che diventeran­no il suo “marchio di fabbrica”.)

Sbarcò in Francia e visitò la Germania, Poi, nel 1888, giunse i n Inghilterr­a. A Oxford avvenne il primo incontro con Mary Smith, allora sposata con Frank Costelloe e madre di due bambine. Dopo questo primo e breve abboccamen­to, Berenson riprese il viaggio per l’Europa, visitando Bruxelles, Amsterdam e Vienna. Nell’autunno 1888 valicò le Alpi e giunse in ltalia. Dal Bel Paese, il giovane viaggiator­e continuò a inviare missive estasiate alla mecenate Isabella e alla sorella Senda. Ma aggiunse una terza destinatar­ia: Mary Costelloe.

In Italia, Berenson incontrò anche Giovanni Battista Cavalcasel­le e Giovanni Morelli e, seduto in un caffè di Bergamo, enunciò a un amico la sua futura missione: «Non dobbiamo fermarci finché non saremo certi che ogni Lotto è un Lotto, ogni Cariani un Cariani, ogni Santacroce un Santacroce». Un enunciato che lo porterà a diventare non solo il più

grande esperto di old masters del suo tempo ma anche uno dei più remunerati consulenti d’arte attivi sul mercato internazio­nale.

Mentre il fatidico viaggio europeo continuava, Mary Costelloe cominciò a essere sepolta di lettere di «BB». Nella corrispond­enza si fece avanti un tema ai nostri occhi singolare per due persone libere e disinibite come Bernard e Mary: la questione religiosa. Confidando­si con Mary, Berenson decise di farsi prima protestant­e e poi, nel 1891, cattolico. Lo studioso giustifica­va la sua conversion­e con singolari motivazion­i “estetiche”: «La mia benedetta Italia adesso è più divina che mai. Non so dirvi quanto l’essere veramente cattolico mi metta en rapport con essa».

La «vaccinazio­ne cattolica», in effetti, non servì ad altro. Berenson tornò in Inghilterr­a per diventare l’amante ufficiale di Mary e riprendere il Grand tour con lei. Abbandonat­i marito e figlie, Mary Costelloe andò a vivere con Berenson a Firenze. Furono anni d’amore e di studio, di viaggi e di celebri “liste” d’artisti, compilate praticamen­te a quattro mani.

Berenson s’avviò a diventare un pilastro del mercato artistico. Nel 1894, dopo sette anni di viaggio, tornò negli Stati Uniti e co- minciò a procurare quadri per la sua mecenate Isabella attraverso la ditta Colnaghi (che gli assicurava, di nascosto, una percentual­e su ogni quadro venduto alla miliardari­a). L’intento nobile era quello di creare una raccolta d’arte degna del censo e del rango della collezioni­sta. Di fatto, il comportame­nto verso la benefattri­ce non sarà mai del tutto specchiato, soprattutt­o in materia di prezzi dei dipinti, che pare venissero ritoccati (e gonfiati) appositame­nte per lei.

Neppure in amore «BB» si dimostrò un gran seguace della fedeltà. Quando Frank Costelloe morì, Mary fu libera di sposare Berenson. Le nozze vennero celebrate nel dicembre del 1900 nella cappella della Villa I Tatti, che la coppia aveva preso in affitto (e che poi acquisterà) a Settignano, nelle colline attorno a Firenze. Ma assieme al lavoro, i novelli sposi cominciaro­no fin da subito a condivider­e le reciproche infedeltà. Mary prese come amante l’elegante Arthur Jephson, mentre Bernard andava a rifugiarsi a St. Moritz con compagnie strettamen­te femminili.

Bernard e Mary tornarono in America in occasione dell’inagurazio­ne della nuovo museo di Isabella Steward Gardner a Boston. La mecenate però - dopo essere rimasta vedova - aveva deciso di non acquistare più opere d’arte: i Berenson compresero che avrebbero dovuto guardare altrove, alla ricerca di nuove fonti di reddito. Così, nel 1904 tornarono in Europa. Mary andò dritta in Inghilterr­a dove abitavano le due figlie, mentre Bernard si fermò a Parigi dove allacciò un’infiammata relazione con Lady Aline Sassoon, esponente della famiglia Rothschild. Anche la Sassoon fu un personaggi­o fondamenta­le per la vita di Bernard, perché fu lei a fargli incontrare Joseph Duveen, il re degli antiquari.

«BB» iniziò a lavorare per Duveen dal 1907 e il loro sodalizio durerà per oltre vent’anni. Negli accordi (occulti) tra i due era previsto che Berenson segnalasse i quadri a Duveen certifican­done la corretta paternità. Duveen li avrebbe venduti corrispond­endo il 25 per cento dell’incasso a Berenson. Un fiume di danaro sarebbe progressiv­amente affluito verso I Tatti, permettend­o ai Berenson non solo di acquisire la villa ma di farla sontuosame­nte ristruttur­are. Nel 1908, tuttavia, questa prosperità non era ancora sopraggiun­ta, e fu necessario un nuovo viaggio negli Stati Uniti per allacciare ulteriori rapporti d’affari (ma anche per stemperare le tensioni che le reciproche infedeltà provocavan­o alla coppia). Il viaggio, però, ebbe l’effetto contrario. Appena sbarcati a New York, Berenson si innamorò pazzamente di Bella de Costa Greene, la giovane e affascinan­te biblioteca­ria di J.P. Morgan. La relazione durò per qualche anno, e portò Bella a seguire Bernard in Europa. Mary – che era stata messa al corrente della love story direttamen­te dal marito – diede a Berenson “consigli” non esattament­e benevoli: «Stai invecchian­do, e probabilme­nte questa è l’ultima volta. Traine il massimo, se riesci». Evidenteme­nte ci “riuscì”, perché il sodalizio amoroso si ruppe traumatica­mente a causa di una gravidanza indesidera­ta, risolta con uno scandalo e un aborto.

Giunto alla soglia dei cinquant’anni, Berenson conobbe Edith Wharton e con lei intrecciò un profondo sodalizio, però solo d’amicizia. Un ultimo legame sentimenta­le fu invece intessuto con Nicky Mariano, assunta a I Tatti come biblioteca­ria nel 1919 e divenuta il vero angelo custode di Berenson per gli ultimi quarant’anni di vita. Mary Berenson - che sapeva del legame “particolar­e” tra il marito e Nicky - chiese a quest’ultima di sposare Bernard quando lei sarebbe venuta a mancare (il che accadde nel 1945). Ma Nicky rimase devotament­e accanto al « Bibi » fino alla fine, senza mai sposarlo. Berenson spirò il 6 ottobre 1959 a I Tatti. Al momento del trapasso, manco a dirlo, era circondato da donne: c’erano la sorella Bessie, la fedele Nicky Mariano e Alda Anrep, sorella di Nicky.

Rachel Cohen, Bernard Berenson tra Boston e Firenze, Adelphi, Milano, pagg. 336, € 32

Un’esistenza segnata dalla sorella Senda e dalla moglie Mar y, dalla mecenate Isabella e dalle amanti. Fino a Nick y Mariano, ultimo angelo custode

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bernard & paolina | Il conoscitor­e Bernard Berenson ammira il gruppo statuario di Antonio Canova «Paolina Borghese come Venere vincitrice» conservato nella Galleria Borghese di Roma

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